Governo: tentativi di tregua
Almeno per il momento, l’argine contro l’estremismo grillino ha retto. E bisogna dare atto a Giuseppe Conte di essere andato da Mario Draghi col compito non facile di conciliare la pressione irresponsabile di chi vuole l’uscita del M5S dal governo, con una realtà drammatica che esige stabilità; e al presidente del Consiglio di averlo ascoltato con rispetto e attenzione. Non è chiaro, tuttavia, se si possa parlare di tregua. Le molte richieste e condizioni avanzate dall’ex premier, sovrastate da quelle di una «forte discontinuità», rinviano la resa dei conti, più che annullarla.
Bisogna capire quanto Conte vorrà e potrà sottrarsi a una strategia del logoramento contro Palazzo Chigi che ha già fatto e sta facendo danni. L’annuncio di un secondo colloquio a breve tra i due, e la sua ammissione che Draghi avrà bisogno di tempo per rispondergli diluiscono soltanto i pericoli di una crisi immediata. Il fantasma di un Movimento che spinge per l’uscita dalla maggioranza è l’arma usata dai vertici grillini per ottenere il più possibile; e per drammatizzare uno scontento che sta falcidiando i voti dei Cinque Stelle e ha già provocato la scissione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
L’eufemismo usato da Conte per fotografare il declino, quell’«erosione» dell’elettorato attribuita alla «collocazione nel governo», è la vera spiegazione del nervosismo; e del tentativo, in parte simmetrico a quello della Lega, di scaricare sull’esecutivo i problemi interni. Non bisogna farsi illusioni: la tendenza a cercare in Draghi il capro espiatorio delle loro magagne non finirà. Anzi, nei prossimi mesi potrebbe accentuarsi e portare perfino allo smarcamento formale che in questi giorni è stato agitato come minaccia. Ma nel documento presentato ieri al premier, almeno, sono scomparse le paranoie complottistiche grilline.
Quanto è accaduto conferma un approccio che rischia sempre di rivelarsi a doppio taglio. Fotografa le frustrazioni soprattutto delle formazioni populiste, aggravate dal calo sensibile dei consensi. Evoca la loro forza numerica che sulla carta continua a renderle indispensabili. Ma alla fine registra anche i loro margini di manovra risicati, insieme con la debolezza e le contraddizioni di chi accarezza il miraggio dell’opposizione in preda alla disperazione e non in base a una scelta vincente. Nelle condizioni stringenti dettate da Conte si avverte l’eco chiara di questi malumori.
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