Gas, il governo si prepara all’emergenza. Una stretta sui ministeri per il Pnrr
ALESSANDRO BARBERA
DALL’INVIATO A RIMINI. Consumata la pausa di Ferragosto, Mario Draghi è tornato a Roma ed ha sul tavolo nuove grane. L’aumento del prezzo del gas sul mercato libero di Amsterdam è vicino alla soglia psicologica dei trecento euro a megawatt ora. Se così fosse, il governo in carica per gli affari correnti potrebbe essere costretto a intervenire. L’imbarazzo del premier è enorme. Il buon senso vorrebbe che a prendere provvedimenti fosse la nuova maggioranza, ma il calendario è implacabile: nella migliore delle ipotesi fra le procedure di voto, l’insediamento delle Camere, la scelta dei nuovi presidenti e le consultazioni del Capo dello Stato il nuovo governo giurerà fra due mesi, quando il peggio si sarà consumato.
In queste ore il premier sta ritoccando il discorso atteso per domani al Meeting di Rimini. Sarà un bilancio del lavoro fatto e un’analisi implacabile dei problemi che aspettano di essere risolti. Nel frattempo ieri lo ha preceduto il suo sottosegretario Roberto Garofoli: «I recenti aumenti dei prezzi delle fonti energetiche determinano ulteriore preoccupazione. Il governo continuerà nelle prossime settimane a monitorare la situazione e a muoversi sul solco tracciato dal Capo dello Stato al momento dello scioglimento delle Camere». La forma scelta da Garofoli è sostanza: citando il «solco» di Sergio Mattarella lascia intendere che se necessario, il governo uscente interverrà per decreto dopo essersi consultato con i partiti della vecchia maggioranza di larghe intese, la stessa che un minuto dopo lo scioglimento delle Camere si è divisa in tre poli. Mai come in questo momento si percepisce lo scarto fra la rappresentazione della politica e la realtà delle scelte di governo.
Ciò che il governo uscente può continuare a fare senza remora costituzionale è il lavoro sul piano nazionale delle riforme. Di qui a dicembre – lo ha ricordato Garofoli di fronte alla platea del Meeting – l’Italia deve raggiungere 55 obiettivi. Senza di essi, non ci saranno i venti miliardi della terza tranche dei fondi del Recovery Plan. Per accelerare il lavoro il sottosegretario ha convocato per la prossima settimana una riunione dei capi di gabinetto di tutti i ministeri coinvolti. «Un tavolo che riuniamo regolarmente per coordinare il lavoro», spiega a margine del Meeting. Di certo Draghi non sarà in grado di completare tutti i passaggi formali prima di lasciare gli uffici di Piazza Colonna, ma Garofoli ha preso l’impegno a lavorare fino all’ultimo giorno utile in nome della continuità istituzionale. «Questo governo nelle prossime settimane lavorerà per mettere quello che verrà in condizioni di tranquillità e sicurezza per il conseguimento degli obiettivi di dicembre». Ha spiegato che verrà fatta «una ricognizione puntuale di quanto fatto e si deve fare perché possa proseguire questo lavoro inedito e complicatissimo per il Paese». Il Recovery Plan è «un’occasione storica per ridurre i divari fra Nord e Sud». Garofoli elenca per numeri la posta in gioco: 35 miliardi nel 2023, 50 nel 2024, 50 nel 2025, 35 nel 2026.
Se nella storia recente ogni nuova maggioranza politica si è premurata di smontare il lavoro di quella precedente, questa volta le circostanze obbligheranno i nuovi inquilini di Palazzo Chigi a cambiare atteggiamento. Per Regioni e Comuni il piano europeo di resilienza è un’opportunità unica di investimento e nessun governatore, di destra o sinistra, è disposto a perderla.
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