L’energia e le ombre di troppo (con illustri precedenti)
Ventidue anni fa la California visse un’estate da incubo, angustiata dai blackout elettrici. Quella crisi energetica mise in ginocchio lo Stato più ricco e tecnologicamente avanzato d’America. C’erano all’origine delle cause ambientali e strutturali: siccità e calo della produzione idroelettrica a fronte di un boom di consumi; più una deregulation mal concepita. Poi si scoprì qualcos’altro: «la madre di tutte le speculazioni», alla Borsa dei futures energetici, con a capo la società finanziaria Enron che finì poco dopo nella più grande bancarotta della storia americana (fino a quei tempi). La vicenda Enron fu il segnale precursore di una malattia, la finanziarizzazione dell’economia, il prevalere della speculazione sull’economia reale; premonizione dello schianto sistemico che nel 2008 sarebbe nato dalla crisi dei mutui subprime.
Ma quante neo-Enron stanno succhiando sangue all’economia reale durante l’odierna crisi del gas in Europa? Si moltiplicano gli indizi che il mercato del gas di Amsterdam sia soggetto a manipolazioni che non riflettono l’equilibrio tra domanda e offerta nell’economia reale. Esperti autorevoli descrivono la Borsa Ttf come un casinò. Un esempio è Salvatore Carollo, che sulla rivista Energia.it espone un paradosso. Alla Borsa di Londra del petrolio Brent si muove quotidianamente un volume di transazioni pari a duemila miliardi di dollari e quindi i suoi prezzi riflettono rapporti reali fra produzione e consumo di greggio.
Alla Borsa Ttf di Amsterdam invece le transazioni in media sono di uno o due miliardi al giorno, sottilissime, avulse dalla dinamica della domanda e dell’offerta, suscettibili di essere manipolate dalla speculazione. Quante neo-Enron stanno giocando lì dentro? Tant’è che quelle quotazioni ad Amsterdam reagiscono ad effetti-annuncio (per esempio gli alti e bassi della proposta Draghi sul tetto al prezzo del gas nelle trattative Ue) più ancora che ai cambiamenti quantitativi come lo stop di Gazprom alle forniture «per lavori di manutenzione». Le anticipazioni degli speculatori sugli scenari politici pesano più dei quantitativi che scorrono o smettono di scorrere nei gasdotti.
L’ombra della speculazione aggrava le difficoltà di un’Europa dove la coesione contro Putin mostra crepe preoccupanti. L’Ungheria firma con Mosca nuovi accordi per forniture di gas. Olanda e Norvegia lucrano a loro volta «extra-profitti» sul loro gas naturale. La prima è uno Stato membro dell’Unione europea ma finora manca di solidarietà: ha giacimenti di gas importanti eppure non intende aumentarne la produzione. Da qualche parte c’è sempre un argomento «ambientalista», contro le energie fossili che serve a coprire interessi economici. La Norvegia è uno Stato membro della Nato ma la sua solidarietà atlantica non include il gas. Di recente ne ha rallentato l’export adducendo le stesse ragioni di «manutenzione» che usa Gazprom quando vuole stringere il cappio al collo dell’Europa. In una celebre serie televisiva norvegese di qualche anno fa, Occupy, gli ambientalisti prendono il potere a Oslo e decretano lo stop a tutte le forniture di energie fossili; in quella trama di fanta-politica è un’occupazione militare russa a ripristinare i flussi del gas. Il mondo reale è più cinico e banale. I norvegesi come gli olandesi condannano Putin nei vertici internazionali ma usano la sua guerra per arricchirsi.
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