“Il vino georgiano di Stalin, la cena a Mosca per i 70 anni: Gorby editorialista illustre”
MARCELLO SORGI
Sorprendente, assolutamente sorprendente: così riaffiora nei ricordi – pubblici e privati – Gorbaciov. Mosca, 14 ottobre 1988, visita del presidente del Consiglio italiano con una delegazione di imprenditori. In un capannone intitolato «Italia 2000», un domani ormai prossimo, Gorby, così lo chiamano giornali e tv di tutto il mondo, avanza a passo deciso con accanto De Mita, premier, e Agnelli, leader degli industriali italiani. A loro dirà, con un segno d’accoglienza che mai si sarebbero aspettati dall’ultimo capo dell’impero comunista: «Capitalisti, arricchitevi!».
Il giorno stesso sarebbe stato firmato l’accordo sul gas (commento di Andreotti: «Cinque anni fa sarebbe stato un insulto all’Occidente») che ora Putin e la guerra in Ucraina hanno rimesso in discussione. L’indomani De Mita avrebbe confidato che nelle imminenti elezioni Usa, un passaggio storico, la fine dell’era Reagan, Gorby tifa per il vicepresidente repubblicano Bush, poi vincente, e non per lo sfidante democratico Dukakis. Fiuto politico e difesa del processo di pace, che da un cambio di amministrazione avrebbe potuto subire un alt o un rallentamento.
Così che il colpo di Stato dell’agosto ’91 e le immagini di Gorbaciov e della moglie Raissa, tremante, che rientrano al Cremlino con negli occhi la consapevolezza del destino che li aspetta, sono uno di quegli eventi indimenticabili che segnano la storia. Come l’attentato a Kennedy, o l’uomo sulla Luna, o la caduta del Muro di Berlino, o le Torri Gemelle, o la bandiera dell’Impero sovietico ammainata per l’ultima volta sul pennone.
Da quel momento in poi, per chi ha avuto occasione di frequentarlo, c’è il Gorbaciov privato. E per noi de La Stampa, l’autorevole editorialista che viene ogni tanto a trovarci in redazione, a Torino, chiedendo al direttore di ricambiare la visita a Mosca.
L’ufficio dell’uomo che era stato il più potente dell’altra metà del mondo è in una palazzina anonima del Leningradskij Prospekt, dove ha sede, ma senza insegne, la Fondazione Gorbaciov. A ricordare i fasti del tempo andato, un certo apparato di sicurezza, che introduce all’anticamera, e poi alla stanza dove Gorby riceve spesso insieme alla figlia Irina, avvolta in eleganti tailleur, spesso vestita di rosso. Gli incontri accontentano un vezzo del personaggio: Gorbaciov vuol essere pagato di persona dal direttore e gradisce fermarsi a parlare dei suoi articoli, non sempre, per la verità, così efficaci perché rigorosamente astratti dall’attualità.
Il tempo e la distanza dagli uffici pubblici lo hanno leggermente appesantito, ma conserva l’aplomb del grande leader, che si ferma a riflettere prima di parlare e scantona abilmente da qualsiasi domanda. Ma finita la liturgia, per così dire, ufficiale, Gorby ama essere un ospite cordiale, spontaneo, amichevole. Un cenno a Irina e sulla scrivania, a qualsiasi ora, anche di mattina, si allineano bicchieri colmi di un pesante rosso georgiano che lui, con una battuta, sostiene «piaceva molto a Stalin». Poi, con piacere, Irina serve certi immangiabili – ma non rifiutabili – pasticcini ricoperti da una crosta appiccicosa di zucchero. Così, brindando al futuro e alla Stampa, la conversazione volge alla fine.
Ma una volta, arrivando senza saperlo insieme a Giulietto Chiesa e Anna Zafesova, nostri corrispondenti dalla capitale russa, una mattina di marzo del 2001, ci coglie di sorpresa una fila interminabile di persone che ruota attorno alla palazzina. Sono le delegazioni dei partiti comunisti di tutto il mondo venute per festeggiare e portare regali a Gorbaciov, nel giorno del suo settantesimo compleanno. Per nostra fortuna troviamo ospitalità in quella italiana, guidata da Cervetti, l’autore dell’indimenticabile «L’oro di Mosca» sui finanziamenti sovietici al Pci, e collocata a metà del serpentone: dopo due ragionevoli ore arriva il nostro turno. Stavolta Gorbaciov è più frettoloso, preferendo subito separare la delegazione politica da quella del giornale, e dedicando cinque minuti a ciascuna, con la ragionevole motivazione che avrebbe avuto da fare fino a sera per ricevere tutti quei comunisti arrivati da ogni parte del mondo. Sulla porta, però, dopo il solito rituale di vino e snack, intimandoci che non avrebbe accettato scuse, ci comunica che ha piacere di invitarci la sera al ricevimento per il genetliaco.
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