Draghi: bene Bruxelles sul gas. Il piano B se la crisi precipita: l’ora legale estesa tutto l’anno

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. «Dall’Europa arrivano segnali incoraggianti». Senza farsi illusioni, Mario Draghi va avanti con il lavoro diplomatico perché si raggiunga un accordo che ponga fine al ricatto di Vladimir Putin. Un ricatto che è anche un fallimento di mercato: l’offerta di gas fornita da un regime autocratico determina il prezzo nella Borsa di un Paese libero ed europeo, l’Olanda. «Meno gas a un prezzo più alto», sintetizza il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani.

La strada per l’accordo è ancora lunga. La prima tappa sarà la riunione straordinaria dei ministri dell’Energia, il 9 settembre. La seconda il 6 e il 7 ottobre, quando a Praga ci sarà la prima riunione d’autunno dei capi di Stato e di governo. Il terzo incontro, quello decisivo, è previsto il 20 ottobre a Bruxelles, sempre dei capi di Stato. A entrambi gli appuntamenti ci sarà ancora Draghi. Quando all’ultimo vertice di giugno il premier chiese ai colleghi di rivedersi prima possibile, gli fu risposto picche. Nessuno in giro per l’Europa credeva che Putin sarebbe andato fino in fondo nella strategia di logoramento del suo principale acquirente di gas. Il blocco totale del gasdotto Nord Stream uno è invece la dimostrazione che – a dispetto del prezzo che lui stesso è costretto a pagare – lo Zar non scherza. La volontà politica della Commissione europea e del governo tedesco ha già prodotto un risultato: il prezzo del metano sul mercato di Amsterdam è sceso in pochi giorni di quasi cento euro a megawatt ora. Il punto è: se anche liberati dal ricatto dei prezzi, saremmo in grado di affrontare l’inverno senza nemmeno un alito di quel gas?

Cingolani continua a rassicurare: ieri al Tg1 ha ricordato che la percentuale sul totale del fabbisogno italiano si è quasi dimezzato, grazie ad una strategia di diversificazione che l’Italia ha iniziato prima di altri. E dunque, nella peggiore delle ipotesi, l’Italia dovrà tagliare ciò che prevedono gli impegni presi in Europa: il 7 per cento in via obbligatoria, al massimo il 15. Per il momento ciò significherebbe rinunciare a due gradi di temperatura e a qualche distacco programmato per le imprese cosiddette «energivore». Davide Tabarelli di Nomisma Energia – uno dei massimi esperti del settore – dice invece che no, se così fosse occorrerebbe un piano più duro. «Ieri dal tubo di Tarvisio (quello da cui arriva il metano russo) sono transitati circa 25 milioni di metri cubi di energia. Un anno fa erano fra i 60 e i 70. E benché sia vero che abbiamo ridotto la dipendenza, nei giorni più freddi dell’inverno in Italia si consumano fino a 400 milioni di metri cubi al giorno. Siamo sicuri che le scorte basteranno?»

Fra i tecnici del governo la questione è nota. Tanto che – raccontano fonti di governo – nel caso in cui la situazione precipitasse potrebbero essere decise altre misure. Una di queste, l’estensione dell’ora legale tutto l’anno. La proposta l’ha lanciata il presidente della società di medicina ambientale Alessandro Siani. Prima della crisi Ucraina, la società di distribuzione Terna aveva calcolato che negli ultimi quindici anni, nel periodo fra il 27 marzo e il 30 ottobre – quello in cui vige l’ora legale – sono stati risparmiati 10 miliardi di kilowattora, pari a 1,8 miliardi di euro. Nel 2018 il Parlamento europeo ha approvato con oltre l’ottanta per cento dei sì l’abolizione dell’obbligo dell’alternanza ora solare-ora legale, lasciando liberi gli Stati di scegliere.

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