Trappole bipartisan
I partiti corrono ognuno per sé, e con la riserva mentale delle mani libere dopo il voto; ma devono anche legarsi ad alleati che ne condizionano le posizioni e li costringono all’ipocrisia. Il viatico peggiore per la stabilità
E poi dicono che i confronti elettorali non servono. Il dibattito tra i leader a Cernobbio ha invece chiarito un paio di punti nodali della prospettiva politica. Il primo è che il fattore Z, e cioè il rapporto con la Russia di Putin, è ancora e continuerà ad essere anche dopo il voto la pietra dello scandalo nel centrodestra. Salvini ha ormai esplicitato il suo dissenso nei confronti della politica delle sanzioni europee a Mosca, attribuendole la colpa del caro-bollette e delle difficoltà dell’impresa. Ma, allo stesso tempo, non ha indicato un’alternativa per fermare Putin e salvare l’Ucraina. D’altra parte era stato anche contro l’invio di armi. Se ne deduce il fondato sospetto che ciò che ha in testa sia una politica di appeasement con Mosca, che ci metterebbe inevitabilmente ai margini dell’Unione europea, se non contro. E questo mentre il conflitto politico-commerciale tra Europa e Russia sale d’intensità, e anzi si avvia ad assumere le caratteristiche di una vera e propria «guerra del gas», in cui i due contendenti si sfidano ormai l’un l’altro a scoprire chi cederà per primo. Un conflitto che l’Europa non può perdere, pena la sua stessa esistenza sulla scena mondiale come un soggetto politico credibile.
In queste condizioni, la cornice internazionale sarà vincolante per la formazione del nuovo governo e per la stessa nomina dei ministri. Ricordiamo che siamo impegnati con l’Unione da Trattati internazionali, e il presidente Mattarella ha in più di un’occasione mostrato che intende garantirne il rispetto da parte dell’Italia.
La posizione di Salvini sulla Russia è così paradossalmente diventato l’ingombro maggiore per la corsa a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni. La quale sa benissimo che questa polemica rischia di indebolire qualsiasi governo di centrodestra. Anche per «pareggiare» l’agitazione di Salvini, oltre che per le convinzioni che le derivano dalla sua collocazione nel Partito Conservatore Europeo, decisamente ostile al Cremlino, sta dunque dicendo cose sempre più nette e fornendo garanzie sempre più atlantiste. «Non saremo l’anello debole dell’Occidente» è la sua promessa a nome del centrodestra di governo. Ma come ci riuscirà, con un alleato così schierato in un’altra direzione?
Il secondo punto emerso a Cernobbio è che anche un’ipotetica alleanza «reloaded» tra Pd e Cinquestelle, in cui qualcuno a sinistra continua a sperare a dispetto dei sondaggi e dei rapporti politici, avrebbe problemi molto seri e forse insormontabili a governare. Ieri se n’è avuta una prova nell’asprezza con cui Giuseppe Conte ha respinto il richiamo di Letta all’«agenda Draghi». Il capo del M5s sta chiaramente tentando di intestarsi il monopolio del voto anti-Draghi, perché l’ha individuato come il modo per togliere voti al Pd e risalire nei sondaggi, dove ormai insidia la terza posizione di Salvini. Ma più si sposta di là e più mette in imbarazzo il suo ex ed eventualmente futuro alleato. Da un paio di giorni, infatti, Letta ha deciso di ritirare definitivamente il titolo di «progressista» che il suo predecessore aveva conferito a Conte. Ricordando invece che questi non si era schierato nemmeno nello scontro francese da Macron e Le Pen, e che si tratta dello stesso premier che varò i decreti Salvini contro i migranti. Tenta così di espellere Conte dalla «sinistra», per rimetterlo nel purgatorio dei «populisti».
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