La nuova plebe italiana non trova tribuni, che catastrofe un altro governo debole

Massimo Cacciari

La più incredibile delle campagne elettorali nata dalla più incredibile delle crisi, a meno di incredibili, miracolosi eventi si concluderà con l’affermazione di una coalizione di destra, fondata pressoché esclusivamente sulla sacra fame di potere, e con l’incarico di formare il governo alla leader di una forza politica che sembrava più che incredibile potesse aspirare a tali onori solo qualche anno fa. Forse sarebbe opportuno riflettere su come simili sconquassi abbiano potuto accadere; forse persone serie dovrebbero almeno tentare un modesto esame di coscienza sulle proprie responsabilità. La svolta infatti, piaccia o no, un sapore epocale pure lo ha. Nulla invece di tutto ciò. Ci si affida ancora una volta all’appello antifascista e alla stanca ripetizione di slogan e programmi mille volte masticati e mai, neppure di striscio, avviati a realizzazione. Rimane la verità, non piacevole, che conoscono benissimo anche le Meloni e i Salvini, e cioè che il loro futuro governo potrebbe incontrare un’opposizione, tutt’altro che in sé priva di ragioni, da parte di autorità europee, poteri economici e finanziari senza il cui appoggio ogni “sovranità” nazionale è oggi destinata a una vita peggio che grama. La Meloni può anche dichiarare a spron battuto che nessuno degli impegni europei sottoscritti da Draghi andrà disatteso (ma allora perché stava all’opposizione?); Salvini può anche mettere la sordina al suo trombone anti-immigrati; Berlusconi può anche far campagna elettorale con toni anti-alleati, sperando di non perdere sul lato Calenda (e commettendo gaffe paurose, tutte pro-Letta, come quella di vantarsi di aver portato i fascisti – sic – nell’arco costituzionale!) – restano le politiche perseguite da costoro nel corso dell’ultimo ventennio, resta l’evidente fragilità della loro coalizione, resta la palese mancanza di una classe dirigente adeguata al suo interno. Letta insisterà su questo in ogni possibile salsa – ma forse che il Pd una simile classe dirigente ha mostrato di averla? Forse che la sua rappresentatività e autorevolezza è maggiore? Certo, ha governato assai più a lungo della Meloni. Con quale risultato, di grazia? La verità – anche qui amara – è che la forza del Pd non sta in sé, ma in Draghi e Mattarella, nell’apparirne i soli legittimi rappresentanti. E allora hanno ragione Calenda e Renzi nel dirlo almeno con franchezza: noi puntiamo a un risultato elettorale che renda possibile il ritorno di Draghi (o di una sua reincarnazione).

Ritengo che un simile risultato (vittoria fragilissima delle destre, governo annaspante qualche mese, crollo ulteriore dei nostri conti finanziari, ennesimo intervento del Capo dello Stato) segnerebbe la catastrofe del sistema politico italiano. Solo il peggior sfascismo potrebbe augurarselo. Ci troveremmo di fronte al combinato di un definitivo crollo di credibilità del Parlamento e dell’affermazione di un presidenzialismo tanto forte nei fatti quanto debole nella sua sostanza, occasionale, surrettizio. Sarebbe l’atto notarile che sancisce l’impossibilità per questo Paese di essere governato da forze politiche e coalizioni capaci di rappresentare autenticamente interessi e settori particolari (partito viene da parte), di confrontarsi, opporsi, essere alternativi tra loro. Ha altro senso la democrazia? Difficile crederlo. E allora se alla fine dovessimo ritornare al “tutti insieme appassionatamente”, ciò equivarrebbe ad affermare che questo Paese, per nostre doti o fortuna o sventura, è inidoneo a una matura vita democratica, che può essere governato soltanto nella perenne emergenza da governi di emergenza, nei quali le responsabilità di ciascuno tendono per forza a scomparire. Esattamente la situazione di fronte alla quale si trova oggi l’elettore: la colpa di tutti è la colpa di nessuno – con chi prendersela? Chi votare?

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