Cernobbio e la destra mai così divisa: Meloni e quelle mani nei capelli mentre Salvini parla di sanzioni

Francesco Moscatelli

DALL’INVIATO A CERNOBBIO (COMO). Dieci minuti a testa. In ordine rigorosamente alfabetico: apre Carlo Calenda, poi tocca a Giuseppe Conte (videocollegato da Napoli «per impegni pregressi»), Enrico Letta, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. A seguire una domanda per uno.

I leader di Fdi, Lega e Forza Italia hanno parlato per ultimi, ma il confronto elettorale che si è svolto ieri nell’ultima giornata del Forum Ambrosetti di Cernobbio è stato di nuovo dominato dalla dialettica interna al centrodestra. Un copione già scritto in cui il segretario della Lega e la presidente di Fratelli d’Italia, che per l’occasione sono seduti uno accanto all’altra, dicono cose diverse su temi chiave come le sanzioni all’Ucraina, lo scostamento di bilancio e la flat tax, salvo poi ribadire che si tratta solo di «sfumature» e che l’unità della loro coalizione è fuori discussione. Con il coordinatore di Forza Italia Tajani nel ruolo del pompiere, costretto a smentire al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana qualunque ipotesi di divisioni post-voto: «Noi siamo parte di una coalizione e resteremo nel centrodestra».

I distinguo più forti sono quelli sui rapporti con la Russia. «Se l’Italia non dovesse più mandare armi e sanzioni cosa farebbe il resto dell’Occidente? Niente…È la nostra credibilità che stiamo decidendo sulla posizione ucraina» sottolinea Meloni, dopo aver ribadito che «se l’Ucraina cade e l’Occidente perisce, il grande vincitore non sarà solo la Russia ma anche la Cina». Prove da statista alle quali Salvini, poco dopo, risponde con nove minuti filati tutti dedicati ai suoi dubbi proprio sulle sanzioni. Meloni, appena intuisce, si copre gli occhi con le mani. «Andiamo avanti con le punizioni per l’aggredito ma proteggendo i nostri lavoratori – dice Salvini -. Vincere le elezioni ereditando un Paese in ginocchio non sarebbe una grande soddisfazione». Ma le differenze non finiscono qui: Salvini ha iniziato la giornata in radio spiegando che lo scostamento di bilancio è indispensabile – «Meglio mettere trenta miliardi adesso per aiutare le aziende che cento a dicembre per pagare un esercito di disoccupati», Meloni dal palco ribatte che per arginare l’emergenza energia è contraria a un nuovo scostamento di bilancio «perché siamo indebitati oltremisura». Salvini vuole la flat tax per tutti in cinque anni, Meloni taglia corto: «Siamo tutti d’accordo sul principio di abbassare le tasse». E poi ci sono le frecciatine: Salvini propone di spostare a Milano il ministero per l’Innovazione (sarà un caso che Meloni abbia già prenotato piazza Duomo per mostrare i muscoli in Lombardia?). Ma ovviamente la leader di Fdi, fra i due la più impegnata a mostrarsi disinvolta davanti a una platea internazionale, ha parlato anche d’altro: dell’Italia che deve difendere i suoi interessi «come fanno gli altri Paesi della Ue», di scorporare subito a livello nazionale il costo del gas da quello dell’elettricità, del Pnrr «che può essere perfezionato».

È sulle questioni economiche, in particolare sul «doppio tsunami dei costi dell’energia e dei tassi d’interesse crescenti» (copyright Carlo Calenda), che anche gli altri leader presenti a Cernobbio hanno concentrato i loro interventi. Per il fondatore di Azione al centro ci sono metodo e agenda Draghi: «Il problema dell’Italia non sono i soldi ma la mancanza di una cultura della gestione; il pericolo non è il fascismo ma l’anarchia». Il segretario del Pd Enrico Letta mette l’accento sul gas (diversificazione delle forniture, credito d’imposta per le aziende e bolletta sociale per le famiglie), sul taglio del cuneo fiscale e sul Pnrr «stella polare» da non ridiscutere «perché l’Italia non discute con l’Europa, è l’Europa». Con il corollario: «Meglio avere un governo che sta nella serie A con Francia e Germania piuttosto che uno che va con la serie B di Polonia e Ungheria». Conte, la cui presenza da remoto pare anche una strategia di comunicazione – si è mai visto un «avvocato del popolo» a Villa d’Este? – punta a una difesa d’ufficio del reddito di cittadinanza e del superbonus.

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