Così è stata stroncata la Banda della Magliana
La sparizione di Emanuela Orlandi, la bomba alla stazione di Bologna, il rapimento di Aldo Moro, l’omicidio di Mino Pecorelli, quello del carabiniere Antonio Varisco, il fallimento del Banco Ambrosiano e la morte del banchiere di Dio Roberto Calvi. Non c’è caso di cronaca nera, mistero irrisolto, complotto in cui non si nasconda a vario titolo lo zampino della Banda.
Sono passati trent’anni, ma il ricordo di quella stagione – e di quella notte – è ancora vivo nella memoria di chi l’ha vissuta direttamente.
“La Banda della Magliana era diventata un grosso problema”. A parlare con noi è Attilio Alessandri. Da poco in pensione, è uno dei poliziotti più decorati alla massima onorificenza per meriti sul campo: per quarant’anni ha operato presso la squadra mobile di Roma nella sezione anti-rapina. Ha partecipato alla fase operativa dell’Operazione Colosseo e, negli anni a seguire, ha avuto a che fare con diversi ex appartenenti alla consorteria criminale (come Massimo Carminati, da lui arrestato dopo il furto al caveau di Roma). Nome in codice “Cobra”, Alessandri, che sulla sua esperienza professionale sta scrivendo un libro, ci ha rilasciato un’intervista esclusiva: “Io e la mia squadra non partecipammo alla fase delle indagini, ma all’interno delle forze dell’ordine l’arresto di Maurizio Abbatino aveva dato a tutti la certezza che sarebbe successo qualcosa di grosso. Fino a quel momento, le indagini sulla criminalità romana si fermavano in un punto e non era possibile andare oltre. Dopo l’arresto di Abbatino il puzzle diventò completo. E quella notte noi colpimmo duro”.
Sulle lunghe e complesse indagini che prepararono il terreno per l’Operazione Colosseo – e che durarono mesi, sin da quando Abbatino venne estradato in Italia nel gennaio del 1992 – una testimonianza fondamentale ce la da il dominus dell’Operazione: l’allora giudice istruttore Otello Lupacchini (a cui, tra le altre cose, va il merito di aver catturato Maurizio Abbatino, ndr) che, con le sue dichiarazioni, conferma e integra anche le parole dell’ex ispettore Cobra: “Si è trattata di un’inversione di tendenza rispetto al passato. Di fronte all’ignavia dei corpi investiganti, che fino a quel momento avevano guardato i vari episodi di criminalità romana come fossero dei fatti isolati, si è gettato uno sguardo generale su almeno 30 anni di storia criminale italiana, collegando qualsiasi episodio all’altro e trovando gli elementi comuni e quelli di diversità, in maniera tale di fornire un quadro completo della situazione e quindi uscire da quella secca di impunità nella quale era stata lasciata la criminalità organizzata romana”.
Viene da chiedersi a questo punto se l’intero castello di questa elefantiaca holding criminale sia crollato soltanto grazie alle dichiarazioni di Maurizio Abbatino o se, magari, non si sarebbe potuti giungere prima a un risultato del genere. “Si sarebbe potuto fare prima se ci fossero state le condizioni per farlo”, ci dice il dott. Lupacchini, “intendendosi per condizioni delle mani abili e pulite, non pelose e sudaticce come quelle che si erano occupate fino a quel momento della vicenda, e una forte intelligenza da parte di chi investigava che non sempre c’è stata. E qui bisogna vedere se non c’è stata perché mancava l’intelligenza o perché l’intelligenza stessa era deviata. Dal canto mio, sono dell’opinione che io avessi le mani pulite, abili, un’intelligenza profonda, dei convincimenti precisi e, soprattutto, la volontà di andare avanti dove altri avevano – non so se volutamente o per incapacità – ceduto il passo all’impunità dei criminali”.
Se uomini come Attilio Alessandri e i componenti della sua squadra sono stati risolutivi al momento decisivo, irrompendo nel cuore della notte in case e nascondigli, ammanettando uomini e tenendo a bada la reazione dei familiari presenti al momento dell’arresto, a darci uno spaccato di quella che è stata l’organizzazione a monte dell’operazione è sempre l’ex magistrato Otello Lupacchini, che si è trovato a dover affrontare non pochi ostacoli: “Ostacoli da parte di chi doveva collaborare e che aveva qualcosa da coprire”. Sì, perché una delle specialità della banda della Magliana, e in particolare di alcuni suoi esponenti, era quella di tessere rapporti trasversali. Blandendo, foraggiando, minacciando. A seconda dell’interlocutore, i modi di gestire i rapporti cambiavano, ma il risultato restava sempre lo stesso e quello che solamente molti anni dopo verrà definito da Massimo Carminati come il “mondo di mezzo”, si inspessiva sempre di più: “Per le indagini ricorsi ad una squadra di polizia giudiziaria di cui non facevano parte, salvo uno, poliziotti romani. Non per altro, ma semplicemente perché i fallimenti registrati nel corso degli anni inducevano ad essere molto prudenti nell’esporre ciò che si stava facendo. Il riserbo fu massimo. Quello che abbiamo fatto è stato rileggere parecchi decenni di storia della criminalità romana, cercando tutti i collegamenti tra le varie vicende e verificando che vi fosse qualche attività da fare”.
Con l’Operazione Colosseo viene decapitata un’idra che fino a quel momento aveva tenuto insieme pezzi anche diversissimi tra loro di criminalità italiana. Naturale che nel periodo immediatamente successivo si sia creato un enorme vuoto di potere, una voragine che, nel tentativo di essere nuovamente riempita, ha inghiottito non poche persone. Attilio Alessandri quel periodo lo ricorda bene: “Non fu destabilizzato solo il tessuto della criminalità romana, ma quello di tutta Italia. Come un pugile suonato, l’intero settore criminale barcollò. Estrema destra, mafia, camorra… fu una batosta per tutti. A seguito di quella notte, nessuno di loro sapeva cosa realmente avessimo in mano, per loro era stato un vero choc. Anche persone non indagate fuggirono da Roma, senza curarsi di cosa si lasciavano alle spalle. Per parecchi mesi si percepiva la paura. Avevamo vinto noi, ma sapevamo che non sarebbe durata a lungo. Roma è talmente grande che la criminalità ci ha messo ben poco a riassettarsi e rimettersi in gioco”.
Sul punto approfondisce Lupacchini: “Il vuoto lasciato dal potere criminale della Banda della Magliana è stato occupato quando – per ragioni tecniche – sono entrate altre organizzazioni che non erano tipicamente romane, che hanno cercato di appropriarsi, o in alcuni casi riappropriarsi del territorio. Dopo l’Operazione Colosseo rientrano varie organizzazioni e coloro che erano stati espulsi dal circuito della Magliana e che rappresentavano quelli che potremmo definire – con linguaggio terroristico – i “raccordi”, cioè gente che stava in una posizione subordinata o ancillare. Hanno cercato di appropriarsi del territorio, tanto che ci furono poi delle guerre quando gli ex appartenenti alla Banda sono usciti di galera negli anni successivi. Debbo anche dire che questo è avvenuto nell’ignavia di chi avrebbe dovuto intervenire, perché la tendenza è sempre stata quella di negare che a Roma esistesse la criminalità organizzata”.
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Parole, queste, che rimandano al più recente scandalo di “mafia Capitale” e alla vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto in prima persona Massimo Carminati. Uno scandalo che, in un certo senso, ha risvegliato vecchi fantasmi: “Si, è vero”, conferma Lupacchini, “alcuni soggetti coinvolti in mafia Capitale avevano dei trascorsi criminali che affondavano le radici all’epoca della banda. Ma la banda della Magliana in senso stretto venne distrutta con l’operazione Colosseo, ormai non aveva più senso di esistere, anche perché erano cambiate le condizioni geopolitiche che ne avevano determinato la nascita, la prosperità ed il successo”.
Lupacchini parla di “condizioni geopolitiche”. Noi traduciamo con un livello superiore, una strategia occulta che della banda della Magliana si è servita alla bisogna, come braccio armato. Che qualcuno sia rimasto impunito e nascosto nell’ombra ne è convinto l’agente Cobra: “Da soli non potevano fare tutto quello che hanno fatto. Non dimentichiamo l’arsenale all’interno del Ministero della Sanità”. Il riferimento è alla nota vicenda dell’arsenale utilizzato in promiscuità dalla banda della Magliana, dai Nar e persino dal commando brigatista che massacrò il colonnello Varisco, che venne scoperto e smantellato nel 1981 all’interno dei locali del Ministero della Sanità a Roma. Ma di vicende in cui si è intravista la presenza di una regìa molto ben orchestrata ne è piena la nostra storia. Pensiamo, tanto per restare in tema, al furto avvenuto nel caveau della banca interna al Tribunale di Roma nel 1999, portato a termine da una batteria capeggiata da Massimo Carminati.
Su questo argomento, Otello Lupacchini non ha dubbi: “Una regìa c’è sempre stata. La banda della Magliana era un’organizzazione tetragona con idee molto chiare su ciò che voleva, intratteneva relazioni ad alto livello e si esponeva per questo ad essere signoreggiata da detentori del potere”.
Tornando a quello che ha rappresentato – e rappresenta – la Banda della Magliana nell’immaginario comune, viene da chiedersi se la narrazione romanzesca che ne è stata fatta abbia un fondamento nella realtà dei fatti. E su questo Attilio Alessandri ha le idee molto chiare: “Assolutamente no. La ricostruzione romanzesca non ha restituito al pubblico l’orrore di quegli anni, la brutalità di certe situazioni e la cattiveria dei protagonisti. Mi ricordo quando ci chiamarono subito dopo l’omicidio di Edoardo Toscano. Era il 1989, gli avevano sparato a Ostia. Quando trovammo il cadavere, sui polsi – lì dove nel corso degli anni si erano chiuse più volte le manette – aveva tatuata una frase: da una parte “stringi” e da una parte “boia””.
Personaggi pronti a tutto, per i quali la vita non aveva molto valore. Ma anche personaggi che, in qualche modo, hanno lasciato nella memoria di un operatore di lungo corso un ricordo positivo: “Non ho un cattivo ricordo, per esempio, di Gianfranco Urbani, soprannominato “er pantera”. Pur essendo un grosso calibro all’interno dell’organizzazione, uno dei capi storici, comunque era una persona rispettosa e per certi versi simpatica. Sapeva quello che stava facendo. Mi è capitato di arrestarlo diverse volte, anche l’ultima, quando poi è morto in carcere. Ogni volta la prendeva con sportività: faceva il suo lavoro di rapinatore, noi il nostro di poliziotti. C’era rispetto reciproco, non è una cosa né banale, né scontata”.
Il 5 novembre, presso la sede de IlGiornale.it a Milano e nel corso di uno degli appuntamenti del corso di giornalismo d’inchiesta della Newsroom Academy di InsideOver, gli iscritti avranno l’incredibile opportunità di incontrare e intervistare alcuni dei protagonisti dell’Operazione Colosseo. Presenti per l’occasione saranno infatti l’ex magistrato Otello Lupacchini, l’ex poliziotto Attilio “Cobra” Alessandri e l’ex esponente della Banda della Magliana Antonio Mancini.
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