“Cambieremo il Jobs Act”. Ma il programma del Pd dice altro

Andrea Muratore

Enrico Letta vuole superare il Jobs Act renziano, o ciò che ne rimane dopo le varie bocciature di parti del suo testo da parte della Consulta, e rilancia a sinistra il Partito Democratico archiviando l’eredità dell’ex premier e segretario, oggi leader di Italia Viva. Per farlo Letta sceglie una tribuna tutt’altro che neutrale: parla infatti con Il Manifesto, che nei mesi scorsi aveva difeso la coalizione del campo largo tra i dem, il Movimento Cinque Stelle e la Sinistra radicale, e sottolinea che “il nostro programma supera il Jobs Act sul modello di quanto fatto in Spagna contro il precariato. La stagione del blairismo è consegnata alla storia. In tutta Europa credo che siano rimasti solo Renzi e Calenda ad agitarlo come un feticcio ideologico“.

Letta sul tema del Jobs Act segue, nelle intenzioni, la visione degli alleati di coalizione, il leader di Sinistra italiana Nicola Frattoianni e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Frattoianni dal 2018 ha iniziato una campagna di critica alle componenti del Jobs Act legate ai licenziamenti senza causale, più volte censurate dalla Corte Costituzionale, Di Maio nel 2017 nel programma del Movimento Cinque Stelle per le elezioni politiche proponeva l’eliminazione totale della riforma introdotta da Renzi al governo tra il 2014 e il 2016 e il ripristino dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Oggi un riformismo moderno deve dare soluzione a problemi come la richiesta di più protezione sociale, al grande tema delle dimissioni di massa post Covid, alla carica distruttrice di lavoro della rivoluzione digitale e delle delocalizzazioni. La sinistra o torna nei luoghi del conflitto o non è sinistra“, ha aggiunto il segretario dem in una conversazione con il Corriere della Sera.

Ma a guardare il programma del Partito Democratico non appare alcuna presa di posizione esplicita sul superamento del Jobs Act: il Nazareno proponne tassazione agevolata per il secondo percettore di reddito di ogni famiglia, sostienne unn taglio totale dei contributi per le assunzioni a tempo indeterminato dei giovani fino ai 35 anni – senza però promuovere alcun discorso sulle coperture – e il rafforzamento dei controlli sul lavoro nero e sommerso. A queste misure, nelle intenzioni, si aggiunge la promozione dello smart working e la fine dei tirocini extra-curriculari.

Nessun discorso sul rapporto tra sicurezza del posto di lavoro e flessibilità, né una discussione su una riforma a tutto campo simile a quella promossa dal governo spagnolo di Pedro Sanchez: essa, come ricorda Il Fatto Quotidiano, prevede “la penalizzazione dei contratti ultracortos – quelli fino a sette giorni – per i quali il disincentivo è incentrato sull’aumento dei contributi previdenziali, l’eliminazione del contratto d’opera o servizio, fulcro di un sistema fraudolento in materia di contrattazione, il rafforzamento dei motivi necessari per giustificare il ricorso ad un contratto a tempo determinato. E poi ancora due elementi, la recuperata centralità del Convenio colectivo (il nostro Ccnl) le cui disposizioni non possono essere derogate dai contratti aziendali in tema di retribuzione e giornate lavorative, e l’intensificazione delle ispezioni”.

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