“Cambieremo il Jobs Act”. Ma il programma del Pd dice altro

Né, al contempo, si vede alcuna discussione sulla legittimazione di settori come la gig economy e l’economia dei microlavori del digitale su cui Letta si è detto pronto a intervenire e che nelle zone grigie del Jobs Act navigano nell’incertezza.

A parole Letta va incontro alle richieste degli alleati Di Maio e Frattoianni, ma senza andare fino in fondo nella critica al Jobs Act. Tanto che da Renzi è arrivata una risposta proprio su questo tema: “Enrico è ossessionato da noi. Oggi ha detto che lui, Di Maio e Fratoianni archivieranno Blair, dopo aver abolito la povertà con il reddito di cittadinanza. Chi gli vuole bene gli stia vicino“, ha twittato il leader di Italia Viva. Il quale ha ragione sul fatto che Letta usi il richiamo alla sua eredità come base d’appoggio per rivendicare una diversità senza discontinuità, ma certamente con la visione del mercato del lavoro insita nel Jobs Act ha, retrospettivamente, contribuito a cagionare un problema all’economia italiana.

La costituzione repubblicana che orienta il Paese nato dal referendum del 2 giugno 1946 si apre con un principio chiaro: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Lavoro precario, guardando i dati allarmanti che dobbiamo commentare. Ad aprile – secondo quanto rilevato dall’Istat – gli assunti con contratto a termine o a tutele crescenti hanno raggiunto quota 3 milioni 166mila. Per il numero degli occupati dipendenti a termine si tratta del dato più alto dal 1977, inizio delle serie storiche.

La catastrofe occupazionale in questo Paese continua. Possiamo pensare a rinascita, presunti nuovi boom economici, rilanci del Paese con queste caratteristiche del lavoro? Domanda obbligatoria. Matteo Renzi, col suo Jobs Act ha sdoganato il precariato per legge. Enrico Letta non vuole fare nulla per adattarlo al mondo che cambia. I suoi alleati di coalizione guardano al passato e non al futuro. Come su altre proposte, i due campi di centrosinistra guardano il dito e non la Luna. In questo caso, il fatto che il lavoro sia tassato come un bene di lusso per imprese e lavoratori è, in una prima analisi, il vero problema da risolvere. Il centrosinistra delle tasse difficilmente, però, riuscirà a entrare in questa forma mentis: e attorno al Jobs Act e al lavoro si consumerà l’ennesima guerra tra bande che poco bene fa all’economia nazionale. Ciò che meno serve in una fase di volatilità e incertezza.

IL GIORNALE

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