Pressing di Ue e Usa. Così è finito l’idillio tra Draghi e Meloni. I molti timori di Biden
Due sere fa, mentre ritirava a New York il premio dell’Annual Awards Dinner, Mario Draghi ha ascoltato i discorsi dell’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, del Ceo di Blackstone Group Stephen Schwarzman e del Rabbino Arthur Schneier. Tutti convinti sostenitori della «visione» e della «leadership» dell’ex numero uno della Bce che «ha ispirato una rinnovata fiducia globale nell’Italia». Pure il presidente Joe Biden ha mandato un saluto per l’occasione. E si è complimentato con Draghi, definendolo «una voce potente». Lodi ed elogi per quanto fatto e, aggiunge Schwarzman, «per quanto potrà fare» in futuro. Già, perché al World Statesman Award, c’è un pezzo importante dell’America che conta. E tutta ragiona come se Draghi fosse ancora saldamente in campo e come se in Italia non fossero ormai imminenti le elezioni. In verità, siamo ormai alla vigilia del voto. E a certificarlo non c’è solo il dato fattuale del calendario, ma pure le tensioni di una campagna elettorale ormai agli sgoccioli. Così forti, da incrinare un rapporto di reciproca stima che – nonostante distanze e divergenze di vedute – negli ultimi mesi non era mai venuto meno. Quello tra Draghi e Giorgia Meloni. Il primo le ha sempre riconosciuto il ruolo di opposizione responsabile, concedendogli in questo anno diversi e lunghi faccia a faccia a Palazzo Chigi (a differenza di quanto accaduto ad alcuni leader della maggioranza). La seconda, invece, ci ha tenuto ad evitare gli argomenti propagandistici e non eccedere nei toni, limitando le critiche al governo al merito dei provvedimenti, tanto che per l’occasione qualcuno ha rispolverato il soprannome di «draghetta».
Da una settimana a questa parte, però, l’equilibrio è cambiato. Con una tensione crescente, frutto anche del pressing dell’Ue e, in particolare, dell’asse franco-tedesco. Non è un caso che negli ultimi giorni la Meloni sia finita nel mirino di Parigi e Berlino, con il Financial Times e il Guardian che sono arrivati a profetizzare «conseguenze terribili» nel caso di una sua vittoria. La spinta che arriva da Bruxelles, insomma, è pressante. E, a cascata, anche i vertici dell’amministrazione americana iniziano a guardare al voto italiano con particolare interesse. La posizione filoatlantica di FdI, da sempre con Kiev e decisamente ostile a Vladimir Putin, rassicura la Casa Bianca. Ma il forcing dell’asse franco-tedesco è comunque un elemento di cui Washington tiene conto.
E’ anche per questo che negli ultimi giorni Draghi ha cambiato approccio rispetto alla Meloni. E dal discorso al Meeting di Rimini che in molti, anche nel Pd, avevano letto come una legittimazione è passato all’affondo di qualche giorno fa in conferenza stampa. Con la Meloni che l’altro ieri ha risposto per le rime. Nervosismi da campagna elettorale, è l’impressione che ne hanno avuto a Palazzo Chigi. Più o meno lo stesso ragionamento che fanno a via della Scrofa, dove la convinzione è che l’ex Bce voglia mantenere la sua equidistanza ora che siamo alla vigilia del voto.
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