Proteste in Russia, voli esauriti e fughe: il fronte interno mostra nuove crepe
Ora si ritrova a essere sua prigioniera, carne da macello senza alcuna possibilità di fuga. Non è un caso che le autorità abbiano subito chiuso il varco verso la Mongolia che permette di uscire dalla Buriazia, la remota regione siberiana che sta fornendo il maggior numero di soldati a questa guerra. Moriranno i soliti, quelli che non hanno voce e risorse. Le proteste di ieri a Mosca, San Pietroburgo e nelle altre grandi città, che hanno portato a mille arresti e quasi altrettante denunce in meno di dodici ore, lasciano capire che gli ultimi a essere chiamati saranno proprio gli abitanti delle aree metropolitane. Per quanto censurate in patria, le immagini dei giovani che urlano «Putin in trincea» e «Vita per i nostri figli» mentre marciano sulla Stary Arbat, la grande strada popolare della capitale, sono qualcosa che il Cremlino non si può permettere.
A differenza dello scorso febbraio, quando ancora esisteva una minima organizzazione del dissenso, queste sono manifestazioni spontanee, nate al momento e frutto di una emotività che sembra risvegliarsi solo ora. Con le cattive notizie che giungono dall’Ucraina, ormai impossibili da nascondere. Ieri ci sono stati passanti che hanno strappato alcuni ragazzi dalle mani degli agenti. A febbraio, applaudivano mentre li trascinavano via. Qualcosa sta cambiando, forse. Ci vorrà del tempo per capire. Un tempo che adesso sta per essere congelato dall’inverno russo. E che Putin ha già utilizzato più volte per una silenziosa repressione del fronte interno.
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