La nuova fase della guerra di Putin e l’appello della Cina: «Serve una tregua e il ritorno al dialogo»
Interessante la reazione sui social media mandarini.
Ieri mattina, subito dopo la dichiarazione incendiaria di Putin su
mobilitazione di 300 mila soldati e nucleare, su Weibo sono piovuti
commenti di cinesi comuni «colpiti dalla determinazione dei russi» e
sulla «opportunità di porre fine all’egemonia degli Stati Uniti». E
ancora, ha scritto qualcuno sullo sviluppo nella guerra d’Ucraina che
subito è diventato il secondo argomento più dibattuto online: «La chiave
è che se la Russia dovesse crollare, l’Occidente potrebbe concentrarsi
sulla Cina». Ecco forse perché Xi gioca da equilibrista. La Cina sarà
anche preoccupata, ma per preparare il suo colloquio faccia a faccia con
l’amico Putin, la settimana prima di Samarcanda Xi aveva mandato in
Russia Li Zhanshu, il numero 3 del suo Politburo. E il compagno Li aveva
detto che «la Cina comprende e sostiene la necessità di tutte le misure
prese da Mosca per proteggere i suoi interessi nazionali quando Stati
Uniti e Nato hanno cercato di chiuderla in un angolo alla sua porta di
casa (evidentemente l’Ucraina, ndr)». Quella dichiarazione è stata
propagandata dalla stampa di Mosca e non citata dalla stampa di Pechino.
E anche dopo Samarcanda, nel resoconto cinese del colloquio tra Xi e Putin, l’Ucraina non è comparsa nemmeno in una riga.
Qualche osservatore ha notato una coincidenza: Putin aveva lanciato la sua «operazione militare speciale» in Ucraina (l’aggressione) pochi giorni dopo l’incontro di febbraio con Xi a Pechino, quando i due proclamarono la famosa e famigerata «collaborazione senza limiti». E ora, la «mobilitazione parziale» delle forze militari russe arriva poco dopo che lo Zar ha parlato con Xi a Samarcanda.
Le difficoltà militari dei russi lanciati in un territorio che sembrava facile da conquistare hanno ricordato a Pechino quanto sarebbe incerto e pericoloso uno sbarco a Taiwan. Significativo quanto ha appena detto il ministro degli Esteri Wang Yi al vecchio Kissinger che invocava prudente realismo: «C’è un vecchio detto in Cina: è meglio perdere mille soldati che un palmo di terreno». Molto più che di Ucraina, in questi mesi i cinesi hanno parlato di riunificazione taiwanese; arrivando a fare le prove generali di blocco aeronavale ad agosto, con la scusa della visita a Taipei di Nancy Pelosi. È per scongiurare l’apertura di un secondo fronte nel Pacifico che Joe Biden ha ripetuto che l’America difenderebbe militarmente l’isola in caso di attacco.
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