Aliquota, requisiti, vantaggi: cosa c’è da sapere sul regime forfettario
Introdotto con la Legge 190/2014 e diventato effettivo a partire dal primo giorno del 2015, il regime forfettario ha abrogato i regimi precedenti, stabilendo un’imposta con aliquota al 15% senza limiti di tempo, purché nel rispetto continuo di diversi requisiti che sono stati rivisti con la Legge di Bilancio 2019 e con quella del 2020.
Per rientrare nel regime forfettario occorre avere dei requisiti e mantenerli anno fiscale dopo anno fiscale. Ma andiamo con ordine.
I requisiti di accesso al regime forfettario
Per potere accedere al regime forfettario occorre il rispetto di un requisito soggettivo e di due requisiti soggettivi.
Il requisito soggettivo prevede l’adesione di liberi professionisti e di ditte individuali. Le società e le associazioni professionali sono di conseguenza escluse.
I requisiti oggettivi invece meritano maggiore approfondimento perché vengono espressi dai compensi e dai ricavi i quali, sommati, non devono eccedere i 65mila euro annui. Una soglia che, se superata, costringe l’imprenditore a ricorrere al regime ordinario. Si tratta di un limite che va riprodotto in quota parte per quelle attività aperte durante il corso dell’anno. Ciò significa che per ogni mese solare durante il quale l’attività è stata aperta non può essere valicato il limite medio di 5.416 euro al mese. (Importo che, moltiplicato per i 12 mesi dell’anno, restituisce i 65.000 euro massimi raggiungibili).
La legge specifica che si tratta di “ricavi e compensi”, non di reddito. In altre parole, il limite di 65.000 euro si ottiene sommando tutti gli introiti generati dall’attività senza detrarre le uscite quindi, per esempio, stipendi, affitti e costi di gestione. Si tratta di un regime fiscale in cui le spese non sono tenute in considerazione.
Altro requisito oggettivo riguarda le spese per il personale dipendente che non devono eccedere i 20mila euro annui.
Anche chi risiede all’estero può aderire al regime forfettario, a patto però che risieda in uno dei Paesi europei che aderiscono all’Accordo sullo spazio economico e che consegua in Italia almeno il 75% del reddito.
Chi non può aderire al regime forfetario
Oltre ai soggetti che non rispondono ai requisiti oggettivi e soggettivi sono esclusi a priori, così come illustrato nella Circolare 10/E/2016 dell’Agenzia delle entrate, una serie di attività tra le quali tutte quelle che sottostanno a regimi speciali relativi all’Iva. Tra queste, per esempio, l’editoria e la vendita di tabacchi.
La pressione fiscale
Il regime forfettario sottostà all’aliquota al 5% e al 15% che sostituisce Irpef, Irap e le addizionali regionali e comunali.
L’aliquota al 5% è valida durante i primi cinque anni dall’avvio di una nuova attività se vengono rispettati questi tre requisiti: non avere svolto attività di impresa durante i tre anni precedenti l’apertura della partita Iva, l’attività svolta non deve essere prosecuzione di un’attività precedente e, se si continua l’attività svolta in precedenza da un altro soggetto, questo non deve avere conseguito ricavi superiori ai 65.000 euro. In tutti gli altri casi l’aliquota di riferimento è al 15%.
L’aspetto ancora più interessante riguarda però il reddito sul quale viene calcolata la pressione fiscale che, come suggerisce il nome, è a forfait. Una semplificazione che riduce la necessità di ricorrere a un commercialista e di tenere una contabilità analitica. Basta avere infatti una contabilità molto spiccia che tiene conto dei documenti emessi e di quelli ricevuti.
Il coefficiente di redditività è collegato al codice Ateco attribuito alla partita Iva, ovvero un codice alfanumerico con il quale vengono classificate le attività economiche che, nel caso fosse sconosciuto, può essere richiesto all’Agenzia delle entrate o a un commercialista. La stessa Agenzia delle entrate ha elaborato una tabella per stabilire il codice di redditività, ossia una percentuale che deve essere moltiplicata per il reddito.
Per arrivare a calcolare il reddito imponibile mancano a questo punto soltanto i ricavi, che si possono calcolare con il principio di cassa, ossia i compensi incassati durante il periodo fiscale. Questo significa, per esempio, che un’entrata prevista per il 2022 e che invece viene incamerata nel corso del 2023 deve essere conteggiata tra i ricavi del 2023.
Una volta noti questi tre parametri si ottiene il reddito imponibile. Per fare un esempio, durante il 2022 il guadagno lordo è stato di 35mila euro e il coefficiente Ateco è dell’86%. Questo porta a un reddito imponibile di 30.100 euro (l’86% di 35.000). A questo importo vanno dedotti i contributi previdenziali, ipotizziamo 8.100 euro, per giungere così a un imponibile di 22mila euro (30.100 – 8.100 euro di contributi). A questo punto si ottengono imposte pari a 3.300 euro (con aliquota al 15% su 22mila euro) oppure pari a 1.100 euro (con aliquota al 5%).
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