I veri obiettivi (nascosti) di tutti i partiti in campo
È finita la campagna elettorale più brutta, insulsa e sgangherata degli ultimi decenni e oggi si tireranno le somme nelle urne. Con la variabile astensione, che nei sondaggi (secretati per i cittadini da una poco comprensibile legge, ma ampiamente circolanti) viene data come primo partito italiano.
Nelle prossime ore si assisterà alla consueta giostra di interpretazioni dei risultati e di analisi del voto e delle sue conseguenze per vincitori e vinti. Intanto, paradossalmente, l’apprezzamento per il premier uscente Mario Draghi e il suo operato cresce vertiginosamente, e viene calcolato al 70%: un’ipoteca pesantissima per chi, ora, dovrà prendere il suo posto e tentare di riempire il vuoto enorme che la sua autorevolezza e credibilità internazionale lasceranno.
Nei prossimi giorni si apriranno sanguinose rese dei conti nei partiti che usciranno indeboliti o sconfitti dal voto di oggi, e saremo spettatori rassegnati delle trionfali passerelle di chi si incoronerà, a vario titolo, vincitore. Si leggeranno infinite spiegazioni sui flussi elettorali, sugli spostamenti di voti da un partito all’altro all’interno delle coalizioni o fuori, e a proiezioni e previsioni sul governo che verrà.
Intanto, prima della apertura dei seggi elettorali, proviamo a fare il punto sulle aspettative, le speranze, i traguardi da raggiungere per i diversi partiti, e sulle asticelle più o meno mobili che devono superare e che faranno la differenza tra successo e débâcle. In attesa, dalle 23 di stanotte, di conoscere i numeri reali.
Fratelli D’Italia – Caccia al primo posto contro le trappole
Il difficile viene ora, e «Giorgia» lo sa. Il nervosismo a stento celato nell’ultimo tornante di campagna elettorale lo dimostra: quando si parte con l’aura del vincitore, i rischi si moltiplicano. Per i possibili incidenti di percorso e per la crescita vertiginosa delle aspettative, che porta poi a inevitabili delusioni. Ora la priorità assoluta, per la leader di Fratelli d’Italia, è assicurarsi che il suo esca dalle urne come il primo partito, e con un buon margine, per evitare trappole degli alleati e contestazioni degli avversari sul suo cammino verso Palazzo Chigi. Il secondo obiettivo, ovviamente, è di avere una solida maggioranza nei due rami del Parlamento, Senato in primis, vincendo la tombola dei collegi: se fosse men che solida, partirebbe subito il tormentone dell’instabilità, dell’emergenza, della manovra da varare entro Natale e si riaffaccerebbero i fantasmi dei «tecnici». Terzo obiettivo: governare. E lì inizierà la vera via crucis.
Partito Democratico – Soglia psicologica: Letta guarda al 20%
In una eterna coazione a ripetere, nel Pd è già partita la sindrome da congresso. Prima ancora della chiusura delle urne, segno che le aspettative sono assai meno ottimiste delle parole d’ordine: «La rimonta è possibile». Anche nella (potenziale) sconfitta ci sono diverse gradazioni: il segretario Enrico Letta aveva iniziato la campagna elettorale con l’obiettivo di fare del Pd il primo partito, scavalcando quello della Meloni nonostante la vittoria del centrodestra. Ora l’obiettivo è di riuscire a superare la soglia psicologica del 20%, sotto il quale la resa dei conti interna si farebbe sanguinosa e minaccerebbe la stessa tenuta del partito. Dopo aver passato gli ultimi anni ad accusare Matteo Renzi della «catastrofica sconfitta» del 2018, quando il Pd si fermò al 19%, ritrovarsi allo stesso punto sarebbe devastante. Poi c’è il terrore che nessuno osa confessare: il sorpasso di M5s sul Pd, ossia la Nemesi di un partito divorato dal mostro che lui stesso ha creato.
Movimento 5 Stelle – Consensi dimezzati ma in doppia cifra
Graduidamende, graduidamende!». La parola più ripetuta da Giuseppe Conte sui palchetti dei comizi dice tutto della sua campagna elettorale. Lui e Rocco Casalino hanno rilanciato lo stile Achille Lauro, ’O Comandante: la chiave del populismo sudista e delle promesse ossessive di mance e prebende (RdC, bollette gratis, Superbonus) ha funzionato, e grazie al recupero nel Mezzogiorno la soglia minima di sopravvivenza del 10% dovrebbe essere superata di slancio. Certo, i 5S dimezzeranno probabilmente i consensi rispetto al 2018, ma sopra le due cifre Conte si blinderà al proprio posto e proverà a manovrare tra Salvini e sinistra Pd per tornare a contare qualcosa, dopo la quaresima di questi mesi: «Le nostre attese non si fermeranno sulla sogliola di Montecitorio», come diceva Lauro. Con la differenza che quello regalava metà banconota da mille lire prima del voto e l’altra dopo, ma erano soldi suoi. Le mille lire di Conte sono a nostro carico.
Lega – Se il 10% diventa la linea del Piave
Da Capitano a capitone natalizio il passo è breve: se la Lega domani non raggiungerà un risultato a doppia cifra, la leadership di Matteo Salvini verrà apertamente messa in discussione. A ripeterlo da giorni, sia pur lontano da microfoni e taccuini, sono dirigenti di primo piano della Lega. Il 10% è dunque la quota salvezza per il capo del Carroccio: un arretramento spettacolare rispetto al 34% delle Europee del 2019, quando Salvini era sulla cresta dell’onda e spadroneggiava nel governo giallo-verde di Conte, e una retrocessione a junior partner di Fdi, ma ancora gestibile. Sotto quella cifra, invece, diventerebbe manifesto il tracollo negli storici baluardi del Nord, Veneto e Lombardia in testa, e questo non gli verrebbe perdonato. Il leader ha messo in lista solo i fedelissimi, penalizzando gli altri colonnelli, e ha gestito la campagna elettorale da uomo solo al comando: se perde, diventerà il capro espiatorio.
Forza Italia – La corsa per risultare decisivi al governo
L’ obiettivo di Forza Italia è stato indicato a chiare lettere dal suo leader Silvio Berlusconi, in chiusura di campagna elettorale: essere «determinanti due volte, numericamente e politicamente» per la futura, possibile maggioranza di centrodestra. Perchè «se non ci fossimo noi, ci sarebbe solo la destra-destra». Democratica, per carità, si affretta a precisare, ma «non in grado di governare» senza l’aggancio ai valori «liberali, centristi, europeisti e atlantisti» rappresentati dall’unico partito della coalizione che fa parte della grande famiglia del Ppe. Si tratta di avere abbastanza voti ed eletti da risultare non aggiuntivi ma indispensabili a sostenere il prossimo governo, in caso di vittoria della coalizione con Lega e Fratelli d’Italia, in modo da poter condizionare «tutte le decisioni che dovranno essere prese: e se gli altri due partiti non fossero i sintonia con quei valori, non staremmo un minuto di più al governo».
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