L’Italia e l’abiura mai fatta
A differenza di molti orecchianti che scrivono oggi di queste cose, gli antifascisti, a cominciare da Togliatti, sapevano bene che il fascismo non era stato «l’invasione degli Hyksos». Ma ben altro. Era stato il prodotto della crisi politica del primo dopoguerra, in cui tutti gli attori compresi loro stessi avevano le loro più o meno pesanti responsabilità, e insieme era stato anche l’esito di una lunga storia italiana. L’esito di una storia italiana in cui erano confluiti moti profondi della vicenda nazionale risalente al Risorgimento, in cui avevano avuto modo di esprimersi anche cose molto degne ed esigenze ampiamente condivise, e al quale avevano collaborato con fecondità di risultati non poche personalità di indiscusso prestigio. Anche se, beninteso, era stato un esito tragico dal momento che tutto ciò non aveva potuto farsi che in un regime di violenza, di disprezzo per la libertà e di un nazionalismo ciecamente aggressivo e alla fine antisemita che aveva portato il Paese alla rovina.
C’è nella nostra Costituzione — cioè nel fondamento stesso della nuova Italia democratica — una prova nascosta ma evidentissima della cautela nel giudizio circa il fascismo che l’antifascismo si sentì spinto a fare proprio. È la dodicesima delle disposizioni transitorie finali. Se ne cita sempre il primo comma, quello che vieta «la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista». C’è però un secondo comma che non viene mai ricordato. In esso si dice che una legge apposita dovrà stabilire «limitazioni al diritto di voto e all’eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista». Ma attenzione: queste limitazioni, si aggiunge, dovranno essere temporanee e comunque in vigore per «non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione». Insomma, i «capi responsabili del regime fascista» — tanto per fare qualche nome di quelli allora ancora in vita, Federzoni, Scorza, Grandi, Bottai, Vidussoni e compagnia bella — dal 1953 in poi avrebbero potuto tranquillamente sedere e dire la loro nel Parlamento della Repubblica. Mi chiedo: si può immaginare qualcosa di analogo nel caso della Germania? Si può immaginare che nella Repubblica federale si consentisse ai «capi responsabili del regime nazista», di prendere parte dopo qualche anno dalla fine del Terzo Reich ai lavori del Bundestag? E come mai è impossibile solo immaginarlo?
Forse perché anche i nostri padri costituenti — come oggi non si stancano rimproverarci gli attuali moralisti politici travestiti da storici — preferivano pure loro non ricordarsi di che cosa era stato il fascismo, erano segretamente condiscendenti verso la dittatura mussoliniana, ed erano privi di una sufficiente coscienza etica?
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