Giuseppe Provenzano: “Il Pd deve guarire dal governismo e costruire una vera alternativa”
Qual è la proposta?
«La partecipazione non la
realizzi con una giornata ai gazebo, alle persone non devi chiedere due
euro per un leader, ma cosa pensano, come vorrebbero cambiare le cose».
Basta primarie?
«È un rito chiedere alle persone
di venire, se non andiamo prima noi. Dobbiamo uscire dal recinto,
discutere con quel mondo privo di rappresentanza o che subisce
ingiustizie o che esprime bisogni di cambiamento, che innova sul piano
sociale e ambientale, che non guarda più a noi o non ci ha mai guardato.
Riconquistare fiducia».
E le alleanze?
«Se non sai chi sei, tutto si
riduce al con chi vai. Torniamo sempre lì. Noi abbiamo il dovere di
riprendere il dialogo, e quando si insedierà il nuovo governo sarà più
chiara la responsabilità di chi pensa solo a se stesso, a dividere. Ma
questo viene dopo».
Crede sia possibile per il Pd allearsi con chi ha lanciato un’opa sulla sua comunità, come Conte?
«C’è
una tradizione, un’ispirazione, quella della sinistra italiana, da
salvare. Anzi bisogna farla vivere anche in un tempo nuovo, penso al
Brasile di Lula, alla rivolta degli studenti in Iran, alla minaccia
nucleare di Putin. Non possiamo regalare questo patrimonio a Conte e
alle sue ambiguità. Lui si dichiara progressista, ma mai di sinistra e
infatti mostra indifferenza rispetto al fatto che abbiamo il governo più
a destra di sempre».
E con Calenda che vi ha chiesto di scegliere, lui e Renzi o i 5 stelle, cosa bisogna fare?
«Dire
chiaramente che non prendiamo ordini da Calenda e Renzi che già offrono
collaborazione a Meloni. Abbiamo perso le elezioni, non la dignità.
Dobbiamo scegliere di investire sulla costruzione di un nuovo Pd per una
nuova sinistra».
Cosa pensa del nuovo volto prudente di Giorgia Meloni. Rappresenta una destra pericolosa o più realista?
«Per quanto possa mascherarsi, chiamare ministri tecnici, chiedere a Draghi di scortarla in Europa, credo che con le sue relazioni internazionali e le sue contraddizioni interne rischi di farci arretrare su tutti i campi, dai diritti alla giustizia sociale alla tutela dell’ambiente. È per questo che non dovremmo dichiarare la resa, ma mettere a disposizione il nostro percorso costituente della costruzione di un’alternativa».
LA STAMPA
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