Governo, la battaglia sul ministero del’Economia: l’idea Giorgetti non basta per l’intesa con la Lega

di Marco Cremonesi

Accordo lontano con Meloni, Salvini non rinuncia a Senato o al ministero dell’Interno

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La novità arriva con una nota, pochi minuti dopo mezzogiorno: «Per la Lega sarebbe motivo di grande soddisfazione e orgoglio occuparsi con un ruolo rilevante anche di Economia e Finanze». È il segno che per il Mef, il cruciale ministero all’Economia e alle Finanze, tutto è ancora in alto mare. E lo stesso vale per la guida delle Camere: a 72 ore dall’insediamento del nuovo Parlamento — e dall’elezione dei due presidenti — nulla è ancora sicuro.

La nota leghista è un segno di discontinuità rispetto alle ultime settimane: mai, dopo le elezioni, c’era stata una rivendicazione leghista per i ministeri economici, men che meno per il Mef. A chi chiedeva il perché, la risposta era sempre una variazione su questo tenore: «Con i chiari di luna in arrivo, meglio tenersi a distanza». E invece, ieri, la novità: «È un onore — si legge nel comunicato — che in queste ore arrivino nuovi e significativi riconoscimenti che testimoniano la centralità e l’affidabilità della Lega». Così, la nota ufficiale. Il fatto è che negli ultimi giorni sul ministero all’Economia circolava un ragionamento: se i super tecnici sondati da Giorgia Meloni preferissero non cambiare mestiere e non salire sul ring di un incarico governativo, un candidato plausibile sarebbe Giancarlo Giorgetti . Ieri, la proposta è arrivata da Ignazio La Russa: «Anche il generale delle forze armate potrebbe fare. Giorgetti potrebbe fare tutto, è un mio amico».

La designazione chiuderebbe la questione di assegnare un ministero di peso alla Lega e Giorgia Meloni — che ieri ha anche visto il ministro uscente Daniele Franco — avrebbe un interlocutore assolutamente credibile ai tavoli economici che contano. Unico problema: probabilmente Salvini pensava — e pensa — ad architetture di governo del tutto diverse. E così, dalla Lega, al di là della nota ufficiale, filtra gran freddezza: «Il Mef non è né una nostra richiesta né un nostro desiderio — dice un leghista d’alta fascia —. Se non hanno altri nomi, prego. Ma fuori quota: dovrebbe essere in più rispetto a quello che ci spetterebbe». Anche perché «non vogliamo finire come con Draghi, dove le scelte erano del premier ma poi le pagavamo noi».

Nella Lega, peraltro, mettono la partita governativa in questi termini: «O Viminale o Palazzo Madama. O ministero dell’Interno o presidenza del Senato». I salviniani non hanno alcuna intenzione di rinunciare a entrambe le cariche. Una delle due sarebbe il riconoscimento del ruolo fondante della Lega nell’esecutivo venturo. È vero però che ieri, per quanto riguarda la presidenza del Senato, non si è andati avanti di un metro. Perché i due principali interlocutori al tavolo di ieri mattina — Roberto Calderoli e Ignazio La Russa — sono anche i due candidati. Meglio rinviare il tema al confronto diretto tra i leader, ieri molto caldeggiato da Salvini. Che ieri mattina ha anche visto — a uno a uno — alcune figure centrali del partito: Giorgetti, Lorenzo Fontana, il capogruppo Riccardo Molinari, l’ex ministra Giulia Bongiorno. Quasi un «tenetevi pronti».

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