Garofoli: «Ora l’Italia è più pronta a reagire. Per governare serve un metodo»
di Monica Guerzoni
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è l’uomo del Pnrr che rassicura: «Siamo nei tempi, sono in corso centinaia di gare pubbliche»
Magistrato, presidente di sezione del Consiglio di Stato e attento custode del suo profilo istituzionale, il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli è il regista dei Consigli dei ministri, l’uomo del Pnrr e il coordinatore di quella «transizione ordinata» che Draghi ha raccomandato alla sua squadra.
Con Draghi in Cdm avete brindato alla fine del mandato. Bilancio?
«In questi 19 mesi il Paese ha dovuto fronteggiare emergenze severe e
impostare il lavoro inedito del Pnrr, vitale per attenuare i divari e
le disuguaglianze, nonché per rilanciare il sistema sociale, educativo,
economico».
Che Italia avete trovato quando è caduto Conte?
«A febbraio 2021, quando il governo Draghi si è insediato, la crisi
pandemica era ancora terribilmente grave, molte filiere produttive
ferme, la campagna vaccinale da organizzare. Le forze politiche, il
Parlamento, tutti i livelli istituzionali sono stati concentrati sui
gravi problemi di cittadini e imprese. Poi, quando l’Italia era sul
sentiero della piena ripresa, è arrivata la guerra. L’unità nazionale è stata un indubbio fattore di vantaggio».
Quale eredità lasciate all’esecutivo che verrà?
«Con le crisi e le emergenze il Paese deve esser pronto a fare i
conti. Come scrisse con parole profetiche Ulrich Beck all’indomani della
tragedia di Chernobyl, le società occidentali sono sempre più “società
del rischio”. Il deterioramento dello scenario geopolitico e la dimensione dei problemi impongono politiche e azioni comuni,
come è stato con la risposta europea alla crisi pandemica. Occorre
innalzare la capacità nazionale di dare risposte tempestive ed efficaci
ed è indispensabile avere un metodo di governo e strutture istituzionali
adeguate».
Il metodo Draghi sarà replicabile da parte di un governo politico presieduto da Giorgia Meloni?
«Il Pnrr ha imposto un cambio di approccio,
pretendendo che l’azione pubblica sia improntata a logica di risultato e
prontezza operativa. L’una e l’altra sono e saranno necessari in
futuro, nel perseguire gli obiettivi del Pnrr, nel controbilanciare gli effetti dell’inflazione, nell’affrontare un contesto economico in deterioramento».
Meloni pensa che sul Pnrr si possa fare meglio…
«La Commissione Ue ha riconosciuto che il Paese è in linea con i
tempi. Il Piano prevede che le aggiudicazioni con la conseguente messa a
terra intervengano nel 2023. Sono in corso centinaia di gare
pubbliche».
C’è il rischio che si sprechino i miliardi del Pnrr?
«Occorre proseguire nel coordinare e monitorare tutto questo. Sono
state già approntate importanti misure di supporto tecnico-operativo in
favore degli enti territoriali. D’accordo con l’Anci, è stato
sperimentato un modello che consente ai Comuni di richiedere a grandi
stazioni appaltanti dello Stato di progettare e appaltare per loro. Si
sta replicando questo modello per altre linee progettuali».
La macchina dello Stato sarà in grado di attuare le riforme imposte dal Piano di aiuti Ue?
«Nel lavoro di contrasto alla pandemia e poi nel Pnrr si è compreso
quanto sia necessario irrobustire alcuni pezzi dell’apparato pubblico,
fiaccati da anni di spending e di deboli politiche dedicate. Per il
Paese è fondamentale innalzare l’adeguatezza del sistema istituzionale,
amministrativo e giudiziario».
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