Giorgetti, il nodo del Tesoro
Ilario Lombardo e Luca Monticelli
ROMA. Giancarlo Giorgetti ha raccontato spesso agli amici della Lega che quando nel 2018 gli capitò di ricevere l’offerta di sedere da ministro dell’Economia nel governo gialloverde, fu preso talmente tanto dai tormenti che andò a chiedere alla madre cosa ne pensasse. Fu lei, con tutto l’intuito che può avere una madre, a dirgli di lasciar perdere. Erano i giorni della grande paura: l’Europa si interrogava su dove avrebbe portato la presa del palazzo dei populisti in Italia. A Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che cercavano disperatamente un candidato al Tesoro per il governo Lega-M5S, dopo la bocciatura di Paolo Savona da parte del Quirinale, il leghista spiegò di non avere le competenze necessarie per sedersi alla scrivania di Quintino Sella. E oggi? Con alle spalle un’esperienza da ministro dello Sviluppo economico nel governo di Mario Draghi quelle competenze le ha acquisite? Giorgetti, sorseggiando un caffè di prima mattina alla buvette, risponde sorridendo: «Ho imparato a fare il ministro dello Sviluppo economico…». Insomma, il vicesegretario leghista sembrerebbe sfilarsi ancora una volta dalla corsa al dicastero dell’Economia: «Per stare al Tesoro – dice – ci vuole uno standing internazionale». Una frase che, arricchita dalle chiose di chi lo conosce bene, non chiude completamente la porta a questa possibilità.
Ci credono poco, i leghisti che Giorgetti lo frequentano da anni. Dicono che se non lo ha fatto quattro anni fa, quando il mare dell’Economia globale era più tranquillo, perché farlo ora che si sta andando incontro a una tempesta, con la recessione che sembra ormai certa? La prima risposta è quella più banale, ma è anche quella che ti dà chiunque nel centrodestra: perché Giorgia Meloni non riesce a trovare nessun altro.
E allora Giorgetti sarebbe «la mossa della disperazione», come da Forza Italia e dalla Lega dicono, senza troppo nascondere la soddisfazione di vedere la leader di Fratelli D’Italia in difficoltà. Il no di Fabio Panetta, membro del board Bce, candidato alla carica di governatore di Bankitalia, e il no del ministro uscente Daniele Franco, che ieri Meloni ha visto assieme ai responsabili economici del partito – anche lui in gara per lo stesso posto a Via Nazionale –, tengono di fatto bloccato l’intero cantiere del governo.
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