Governo, Meloni ora pretende segnali di unità. Aperture dalla Lega, le difficoltà con FI

di Marco Cremonesi e Paola Di Caro

In Fratelli d’Italia si parla di «offerta generosissima» a Lega e Forza Italia. Oggi il test del voto in Aula col timore di «qualche sgambetto»

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Giorgia Meloni arriva a Villa Grande, residenza romana di Silvio Berlusconi

Raccontano in Fratelli d’Italia che la scelta di sentire e vedere separatamente prima Matteo Salvini e poi Silvio Berlusconi sia stata di Giorgia Meloni. Ma i due appuntamenti non sono bastati a portare ad un accordo complessivo e ancora si tratta a oltranza. Nonostante infatti quella che i suoi definiscono «una offerta generosissima» fatta dalla leader agli alleati — molti i ministeri offerti, ben più di quelli che sarebbero loro toccati contando i pesi dei tre partiti, e perfino una cauta apertura sulla possibilità di nominare due vicepremier, Salvini e Tajani — l’intesa non si è ancora chiusa. Almeno non ancora sulla squadra del governo: i malumori sono soprattutto in FI, la Lega invece dopo vari colloqui a sera è parsa decisamente soddisfatta del risultato che porterebbe a casa, nonostante quello che non è boccone facilissimo da ingoiare per Salvini: la scelta di Giorgetti al Mef, che non ha proposto ma subìto. Sulle Camere invece l’intesa alla fine è stata trovata: La Russa a Palazzo Madama e probabilmente Molinari a Montecitorio. Con un dubbio però: tutti voteranno compatti, permettendo a La Russa di diventare presidente alla prima chiama? La paura, il sospetto di qualche sgambetto, in FdI è forte, se è vero che lo stesso Berlusconi ha avvertito che «in FI e Lega ci sono senatori nervosi…».

Ma nei suoi incontri Meloni è stata tranchant: «Se non vi vanno bene nemmeno le caselle che vi ho proposto — la sostanza del suo discorso — allora vuol dire che ce l’avete con me, e non si può fare un governo insieme…». E per capire se la strada sia sgombra da massi o no ha posto un aut aut: votare La Russa dando «una prova di compattezza assoluta», ovvero senza dispersione di voti. Alla prima chiama, con maggioranza assoluta. Solo così, ha aggiunto, senza sgambetti per indebolirla, si potranno mantenere le promesse che ha fatto, altrimenti cambia tutto.

Sia Salvini che Berlusconi ufficialmente hanno detto sì a La Russa, ma solo oggi si avrà la prova del nove della fedeltà degli eletti all’ordine di scuderia. Perché la giornata è stata davvero complicata. Il leader della Lega con Meloni in mattinata si era dimostrato aperto, aveva anche accettato il no alla sua persona al Viminale, suggerendole di andare a parlare con Berlusconi per risolvere i problemi anche con lui. Ma nel pomeriggio aveva ancora alzato la posta, tornando a proporre Calderoli al Senato. Solo a sera c’è stato il chiarimento con la marcia indietro pubblica espressa in una nota e ufficiosamente, che avrebbe abbastanza tranquillizzato FdI.

Con Berlusconi la situazione è più difficile. Accompagnata da La Russa, Meloni si è trovata di fronte a richieste che giudica eccessive: il ministero della Giustizia, sul quale ha detto «parliamone» pur ribadendo che Nordio è «un ottimo candidato, farebbe benissimo» e Casellati «può essere anche a capo di un altro dicastero»; il Mise, che invece non vuole concedere. Gli Esteri, che lei vuole affidare a Tajani. Ma anche altre caselle e soprattutto quello che ormai è un vero caso: un posto, anche se non di primissima fila (Turismo accorpato allo Sport) per Ronzulli. Su questo Meloni non sente ragioni: come ha detto martedì in un incontro con la diretta interessata che però non si arrende e ribadito a Berlusconi, ormai la situazione si è talmente esasperata — pure i social esplodono all’ipotesi, la polemica è in trending topic da giorni — che cedere farebbe venire meno la sua credibilità. All’inizio avrebbe pure potuto concederle un ministero minore, ma ora no, non se ne parla assolutamente.

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