“Basta associare papà solo alla lotta alla mafia. Sconfisse anche le Br”

Beh, c’è una certa differenza fra i favoritismi e la mafia vera e propria.

«Da questo mercato di favori discende la non trasparenza nelle banche in cui sarebbero arrivate montagne di soldi da gestirsi fra amici e amici degli amici. Era il pericolo vero. E lo abbiamo visto materializzarsi proprio il giorno della morte del generale, quando decollò un aereo da Palermo diretto a New York: un volo mai esistito, salvo la sera in cui hanno ucciso mio padre».

Lei ha suggerito il modello del docufilm a Simona Ercolani che all’inizio pensava a una fiction e che lei ha poi ha convinto a convertire in un documento che, con l’aiuto di grandi attori, è ora un manuale di storia.

«All’inizio la Rai voleva fare una fiction e io ho detto di no: se ne sono già fatte due. Poi ho guardato Simona e ho detto: a meno che non vogliate parlare in questa serie soltanto degli anni di piombo, che non erano mai stati toccati se non in modo impreciso e provvisorio. Simona ha sposato immediatamente l’idea, perché è vero: degli anni di piombo e del terrorismo rosso non si parla mai. Ricordo quando mi resi conto che l’intero significato della vita e della morte di Dalla Chiesa era centrato tutto e soltanto sulla mafia siciliana, rendeva invisibile tutto ciò che mio padre aveva fatto lottando contro la cattiva politica e i cattivi maestri che fiancheggiarono il terrorismo delle Brigate Rosse».

E l’esercito quasi clandestino che usò suo padre?

«Questo è un film specialmente su questi ragazzi che non hanno mai avuto un nome vero, ma solo i soprannomi che gli aveva dato mio padre. Ieri mi ha scritto Trucido, e io Trucido non so come si chiami, perché per me è sempre e soltanto Trucido, anche sul mio cellulare. E questi ragazzi avevano lasciato le loro famiglie e le loro fidanzate per lavorare con papà: la loro è una grande storia, per la dedizione e l’amore che avevano per mio padre e l’amore che papà aveva per loro. La generazione che è arrivata dopo non può avere memoria di ciò che non ha vissuto».

È stato insomma un bel lavoro di squadra.

«E voglio ringraziare tutti gli attori, a partire da Castellitto, che hanno interpretato la nostra vita. Lui mi ha detto subito: Rita io non voglio somigliare fisicamente a tuo padre, ma voglio che mi racconti quello che lui aveva dentro, perché solo in questo modo io riesco a riviverlo per gli altri. E lo stesso vale per la persona che ha interpretato mia mamma, Teresa Saponangelo, un’attrice napoletana bravissima. Io le ho le ho raccontato di mamma e mi sono commossa, ho visto lo sforzo che hanno fatto e ho potuto apprezzare una casa di produzione che si è presa in carico la nostra vita, mia e dei miei fratelli, e ne è venuto fuori quel pezzo di storia che in Italia tutti dovrebbero conoscere. Questo docufilm può essere additato come esempio di ciò che andrebbe fatto per raccontare l’Italia, perché la memoria non si può costruire, la memoria non si può imporre, ma si possono fornire gli strumenti per formarla. Quando con Simona ne abbiamo parlato, le ho detto: beh beati voi che avete fatto una cosa su un pezzo della storia in Italia. E questo potrebbe davvero essere un punto di partenza per la ricostruzione della memoria, per dare consapevolezza alle nuove generazioni, visto che da loro si pretende il rispetto della memoria».

IL GIORNALE

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