Perché le parole di monsignor Georg su Ratzinger danno inizio alla «fase due» del papato di Francesco
Avere parlato del dolore di Benedetto per la scelta del successore di scoraggiare le Messe in latino prima ancora che si celebrino i funerali è stato visto da alcuni come un gesto di imprudenza; un’arma consegnata a chi vuole sostituirlo anche formalmente come Prefetto della Casa pontificia: incarico che finora ha mantenuto, seppure senza poterlo esercitare.
Le ali più radicali del cattolicesimo stanno estremizzando le divergenze reciproche da tempo. La filiera più ortodossa del cattolicesimo è in fermento. E ora che manca il diaframma moderatore di Ratzinger, promette di tracimare. Se ne ha sentore da quando Francesco ha fatto capire di volere come nuovo custode dell’ortodossia l’attuale vescovo di Hildesheim, monsignor Heiner Wilmer: una personalità che riflette le posizioni più radicali dell’ala progressista dell’episcopato tedesco su temi come la sessualità in generale e l’omosessualità.
Insomma, un anti-Ratzinger.
La nomina era prevista per metà dicembre, ma è stata rimandata. Nel momento in cui verrà ufficializzata, esisterebbe già un gruppo di cardinali tradizionalisti pronti a contestarla.
In più si registra un malumore diffuso dei ratzingeriani per il modo in cui sono state organizzate le esequie di Benedetto. «Volevano che i funerali fossero sottotono, e invece ci sono decine di migliaia di persone che spontaneamente vanno a salutare papa Ratzinger nonostante fosse diventato invisibile da quasi dieci anni. È un omaggio alla sua statura di grande teologo e un segnale di stima che dovrebbe insegnare qualcosa ai consiglieri di Francesco», ammonisce uno dei cardinali tradizionalisti più influenti.
Non solo. La stessa decisione di invitare ufficialmente solo le autorità di Stato italiane e tedesche, declassando la partecipazione delle altre delegazioni a visite private, è stato considerato un modo per sminuire la solennità dell’estremo saluto a Ratzinger: un calcolo, se tale è stato, smentito dalla partecipazione di massa di questi giorni e dalla presenza di primi ministri e reali.
In realtà, Bergoglio sembra avere compreso prima di altri le incognite che si aprono per lui. Sa che Ratzinger rappresentava una garanzia per tenere unita la Chiesa, frenando le spinte di chi voleva un suo pronunciamento contro Francesco. Sa che non ha mai detto una sola parola contro di lui, e ribadito in più occasioni: «Il Papa è uno solo». Il pericolo, ora, è che senza la barriera protettiva dell’Emerito, «le persone ferite da Francesco» che andavano «a curarsi al Monastero», come ha dichiarato con parole dure il cardinale Gerhard Muller, possano ritrovarsi sbandate; e siano tentate di organizzare una fronda contro il pontefice argentino.
Di nuovo, monsignor Gänswein rischia di trovarsi in bilico tra l’identità di uomo fidato di Benedetto e di collaboratore, da ormai tre anni congelato, del papa attuale. E di essere identificato come l’anello più esposto dell’«altra Chiesa», quella impropriamente identificata con il papa emerito, da colpire e spezzare nel momento di massima debolezza.
Il papato di Francesco non è finito, ma è finito con Benedetto «un» suo papato, quello della convivenza diplomatizzata col predecessore. E pochi sono pronti a scommettere che in questo «secondo tempo» la corte di Casa Santa Marta concederà spazio a Don Georg.
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