La destra post-populista alla ricerca di un’ideologia
Chi è davvero questa Giorgia Meloni, leader post-missina e vagamente peronista, che oscilla tra Giorgio Almirante, Evita Melòn e adesso addirittura il Giuseppe Garibaldi di “qui o si fa l’Italia o si muore”? Un bel dilemma, in questi giorni di tormenti e risentimenti.
Nulla più della benzina accende la rabbia dei popoli contro le élite. L’America Latina brucia da mezzo secolo per le rivolte sul prezzo dei carburanti. Nel 1989 fu il “Curacazo”, che partì dai quartieri più popolari di Caracas e finì per infiammare tutto il Venezuela. Trent’anni dopo toccò all’Ecuador, dove l’aumento dei prezzi scatenò prima l’assedio dei distributori, poi l’assalto al palazzo presidenziale di Lenin Moreno, costretto a fuggire da Quito e a spostare la sede del governo sulla costa. In quello stesso anno riesplose anche il Cile, per le stesse ragioni: rincaro della “gasolina”, raddoppio del biglietto di bus e metropolitane, e inferno da Santiago a Valparaiso, città messe a ferro e fuoco dalla gente inferocita, morti e feriti tra la folla caricata dalla polizia del generale Iturriaga, autorizzata a sparare dal presidente Sebastian Pinera.
Nella vecchia Europa, vivaddio, non siamo arrivati a tanto. Ma la sommossa dei gilet gialli in Francia, innescata nell’autunno del 2018 dal boom dei costi del carburante e dall’inflazione conseguente e durata fino al 2020, segna un capitolo fondamentale nella storia e nell’iconografia dei movimenti populisti del Terzo Millennio: tre milioni di giubbotti catarifrangenti del ceto medio impoverito, in marcia sui Campi Elisi e lanciati “a bomba contro l’ingiustizia”, come la locomotiva di Guccini. Conviene partire da qui, per ragionare sul primo serio inciampo eco-socio-politico di Meloni
Nella civiltà delle macchine, e in attesa che la costosissima transizione energetica ci mostri le magnifiche sorti e progressive dell’elettrico, il prezzo della benzina resta la tassa del macinato dell’era moderna. Chi tocca non muore, ma paga pegno.
Come spiega Alessandra Ghisleri nel sondaggio che pubblichiamo oggi, la nostra presidente del Consiglio è ancora in luna di miele col Paese. E tuttavia, numeri alla mano, quella pasticciata sequenza di piccole bugie e grandi contraddizioni che la Sorella d’Italia ha profuso per giustificare il rialzo delle accise rappresenta un vero “litigio” tra lei e l’amata Patria. Il problema non è il fronte dei benzinai, cioè quei 22 mila “furbetti e speculatori” che un governo preoccupato solo di autoassolversi ha dato frettolosamente e irresponsabilmente in pasto all’opinione pubblica. Quelli fanno comunque parte della constituency elettorale dei patrioti, che dunque ne regolerà il provvisorio dissenso secondo una rigorosa logica di scambio corporativo. Il nodo vero, invece, sono proprio gli italiani, possessori di un parco circolante di ben 53 milioni tra autoveicoli, pullman, motocicli e motocarri. Gente che fa il pieno tutti i giorni, pendolari che si spostano per lavorare, “padroncini” che fanno le consegne. Poche migliaia di ricchi in Ferrari e Lamborghini, che se ne fregano degli aumenti e dei dibattiti tra economisti sulla “regressività” delle accise. Molti milioni di cittadini normali, per i quali anche solo 25 centesimi in più al litro sono un costo tutt’altro che irrisorio.
Lei stessa se n’è resa conto. Altrimenti non avrebbe convocato ben due telegiornali delle 20, per provare a spiegarsi parlando a reti unificate agli italiani già attovagliati per la cena, blitz mediatici e drammatici che faceva giusto Conte al culmine dell’emergenza pandemica. E soprattutto non avrebbe ricorretto il cosiddetto “decreto trasparenza”, inventando una “accisa mobile” e ripristinando il bonus trasporti per le famiglie più disagiate e più colpite dalla crisi energetica. Serve a poco, adesso, correre ai ripari con i pannicelli caldi, lamentarsi dei soliti “giornaloni” che mistificano o dei social ingrati che banchettano. È stato un report ufficiale del ministero dell’Ambiente (dunque il governo stesso) a chiarire che il rincaro dei carburanti non è altro che l’effetto aritmetico dell’abolizione dello sconto fiscale introdotto a marzo 2022 dal governo Draghi. Ed è la stessa Rete usata infinite volte dai picchiatori digitali della fratellanza meloniana, che oggi fa diventare virale l’ormai famoso video del maggio 2019 nel quale la “Ducia” solitaria all’opposizione fa benzina e giura “quando governeremo noi, le accise le aboliremo!”. È la Politica 4.0, bellezza, e non puoi farci niente. Detto tutto questo, ora la domanda è cosa lascia e cosa insegna, questo primo dissapore tra la premier e “la Nazione”.
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