Pensioni: le menzogne dei politici
Come siamo arrivati fin qui
Il saldo negativo tra entrate contributive e spesa pensionistica non è una novità, tant’è che negli anni i disavanzi patrimoniali hanno dovuto essere coperti con interventi legislativi. Nell’ultimo decennio si possono distinguere due momenti. Il primo è quello che va dal 2012 al 2018, e che vede una diminuzione costante del numero dei pensionati: dai 16 milioni e 668.584 del 2011 ai 16 milioni 4.503 del 2018. È l’effetto della riforma Fornero scattata a gennaio 2012 (qui il provvedimento, art. 24) che innalza l’età per la pensione di vecchiaia da 65 a 67 anni, e pone come requisiti per la pensione anticipata 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Fino ad allora bastavano 35/36 anni, a patto di avere compiuto i 60/61 anni («Quota 96»). Il secondo momento è quello che va dal primo gennaio 2019 al 31 dicembre 2021 e vede una risalita del numero di pensionamenti: dai 16 milioni 4.503 ai 16 milioni e 98.748. Il motivo principale è l’entrata in vigore di «Quota 100», approvata dal governo Conte I su spinta del leader della Lega Matteo Salvini e che prevede la possibilità di andare in pensione a 62 anni e con almeno 38 anni di contributi. Tra il 2019 e il 2021 hanno utilizzato «Quota 100» in 379.860 con una spesa di 11,84 miliardi. Ma con lo smaltimento delle domande arretrate la stima è che si arriverà a 450 mila, con un anticipo medio di pensionamento rispetto alla Fornero di 2 anni e mezzo.
Occupazione in ripresa e morti da Covid
Con il tasso all’1,42 abbiamo visto che il numero di pensionamenti resta troppo elevato rispetto al numero di lavoratori. E questo si verifica nonostante nel 2021 l’occupazione sia in netta ripresa, e il numero di pensionati diminuisca in modo significativo anche per le morti da Covid. Da un lato con 22 milioni e 884 mila lavoratori si torna ai livelli pre-pandemia, con il numero di contratti a tempo determinato costante negli anni (intorno al 17%). Dall’altro lato, il numero di prestazioni previdenziali con durata quarantennale, erogate cioè a persone andate in pensione nel lontano 1980 o ancor prima, è passato da 423.009 a 353.779: le 69.230 prestazioni eliminate sono da imputare prevalentemente al Covid che ha colpito soprattutto gli over 80.
Quota 102 e Quota 103
Allo scadere di «Quota 100», il governo Draghi introduce «Quota 102» (qui il provvedimento, art. 1 comma 87): l’età per andare in pensione con 38 anni di contributi passa da 62 a 64 anni. La stima è che in totale nel 2022 le richieste accolte sono cinquemila con un anticipo medio di 27 mesi e un costo a regime di circa 42 milioni di euro. Con la legge di Bilancio 2023 i criteri cambiano di nuovo, e spunta «Quota 103»: il governo Meloni riporta l’età per la pensione anticipata a 62 anni, ma stavolta con 41 di contributi (qui il provvedimento, art. 1 comma 283). La nostra aspettativa di vita è tra le più elevate a livello mondiale e, tirate le somme, l’età effettiva di pensionamento in Italia è 63 anni, mentre la media europea è di 65 anni. Oggi la spinta politica italiana è quella di abbassare l’età pensionabile per favorire le assunzioni dei giovani. Vediamo se si trova riscontro nei fatti.
A Flourish chart
Lavoro dipendente: più pensionati, meno assunzioni
Calcoliamo quanti under 29, tra il 2015 e il 2021, sono entrati nel mercato del lavoro per ogni lavoratore anziano uscito. Il conto prende in considerazione il numero di nuovi pensionati Inps tra i lavoratori dipendenti e le assunzioni di giovani fino a 29 anni nel settore privato. Risultato: il rapporto è uguale o superiore a 1 solo per un anno, il 2017, quando per ogni nuovo pensionato vengono assunti 1,7 giovani. I dati più bassi sono registrati nel 2015 (0,30) e nel 2019 (0,37). Nel 2021 il rapporto sale a 0,88: 212.045 under 29 assunti contro 239.602 nuovi pensionamenti.
L’ostacolo maggiore per le nuove assunzioni è la mancanza dei profili professionali di cui necessitano le imprese. Non viene soddisfatta quasi la metà della domanda: ad esempio ad inizio gennaio 2023 su un totale di 152.540 figure richieste il 48% non è stato reperito. In particolare considerando le competenze più difficili da reperire, ovvero operai specializzati, tecnici in campo informatico e ingegneristico, farmacisti e biologi, su oltre 44 mila richieste il 64,6% non è stato trovato (qui il documento). Infine un dato molto preoccupante: tra i ragazzi fra 16 e i 24 anni che non studiano, lavora solo il 17,5% contro il 32,7% della media Ue. Di fronte all’inesorabilità dei dati emerge tutta l’irresponsabilità politica: incapace di creare le condizioni per aumentare i posti di lavoro, preferisce accontentare chi vuole smettere di lavorare, spacciandola come soluzione per liberare spazio a vantaggio dei giovani. E le conseguenze di un minore incasso si spalmeranno su tutti i cittadini. dataroom@rcs.it
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