Erdogan tra le rovine del terremoto: «Era impossibile prepararsi»

La rabbia monta. Anche per una «tassa sui terremoti» introdotta dal governo dopo il terremoto nel 1999 che ha ucciso più di 17 mila persone. Oltre 4,3 miliardi di euro, che avrebbero dovuto essere spesi per la prevenzione dei disastri e lo sviluppo dei servizi di emergenza. E montano le polemiche per i periodici «condoni edilizi, che offrono l’esenzione legale a quelle strutture costruite senza i certificati di sicurezza. «Impossibile prepararsi, certo», dicono a mezza bocca i camionisti bloccati in coda.

Ottenere clemenza non si può. Nemmeno da madre natura. Scendono le temperature. La minima di Gaziantep segna -7 gradi, il vento dalle montagne soffia gelido mentre tutti dormono fuori nelle tende o in automobile. Perfino l’Ucraina stravolta dalla guerra ha inviato una squadra di soccorritori. Ma non basta. Non basta mai. «Il tempo per trovare i vivi sta ormai per scadere», dicono i White Helmets dall’altra parte del confine, che di tragedie e salvataggi estremi se ne intendono.

Nel villaggio di Serynol, la protezione civile turca, l’Adef, porta un camion di aiuti. Sono tende da montare, pesantissime da spostare. Tra quanti aiutano a scaricarle c’è Amed. È arrivato da Hama dieci anni fa, in fuga dalla guerra siriana. Oggi ha vent’anni. «Qui sto bene. Sono al sicuro», racconta mentre alle sue spalle un’ambulanza rischia di investire un gruppo di ragazzi. «Mio fratello fa il giornalista qui in Turchia. Io sono un meccanico, se avete bisogno di aiuto con l’automobile sono a disposizione». Ma a Murat non importa che il motore dell’auto stia per fondere. Si va avanti. Bisogna correre, Bahetan non ha più tempo. Nessuno ha tempo.

È quasi tramontato il sole quando Murat raggiunge la sua Antakya. Non c’è più niente. Era Antiochia, fondata da uno dei generali di Alessandro Magno. Ora è solo polvere, quello che resta della capitale della provincia di Hatay. Arriva di fronte al palazzone bianco e rosso ora cumulo di polvere, cade in ginocchio sull’asfalto. Quaranta piani che non ci sono più. Bahetan e Makbuli vivevano all’undicesimo. Gli occhi si spalancano sull’orrore. «È incredibile, è incredibile», ripete con il fiato che si rompe in gola. Poi di nuovo le lacrime. Il suo maggiore di cinque figli è lì sotto. «Aiutatemi, aiutatelo, vi supplico». E la terra trema ancora una volta. L’ennesima.

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