Meloni ora pensa a riorganizzare il centrodestra: in Forza Italia si parla di un’«operazione Valchiria»
Si vedrà, nel frattempo tocca
governare. E gli onori ottenuti nelle urne sono anche oneri per la
presidente del Consiglio: il consenso aumenta il peso delle
responsabilità che gli elettori le hanno assegnato. La sua centralità
politica a livello nazionale si moltiplica a livello internazionale. Il modo in cui il Cavaliere ha attaccato Zelensky — quel tentativo spregiudicato di criticare Meloni e al contempo attrarre il malcontento dell’opinione pubblica per gli effetti economici della guerra — ha rafforzato la premier. Che oggi è vista dai partner occidentali come l’unico punto di riferimento in Italia. E in Europa, dicono nel suo governo, «fra qualche mese si capirà meglio che non è affatto isolata».
È tutto un cantiere, anche se Palazzo Chigi può contare sulla crisi delle opposizioni. Il voto regionale ha rimarcato che il centrosinistra non esiste né politicamente né numericamente. Ieri, con approccio buddista, Letta ha glissato sul commento di Bonaccini, che è candidato alla guida del Pd e che senza alcun tatto diplomatico ha scaricato sulla gestione uscente l’intera responsabilità della sconfitta. Il segretario — riconoscendo il risultato negativo — ha rivendicato però il fatto che i dem sono «la prima forza di opposizione». Mentre dal suo partito sono stati lanciati segnali camuffati da attacchi a Conte e Calenda, invitati a capire che «divisi si perde».
Il punto è che da mesi i dirigenti democrat hanno avviato una campagna per sconfessare le politiche riformiste adottate ai tempi del governo Renzi. Come possa conciliarsi in tal senso un’alleanza del Pd con Terzo polo e M5S sarà problema di chi arriverà al Nazareno. Di certo il rischio che l’incognita possa produrre una scissione nel Pd non è affatto scongiurato. In ogni caso passerà almeno un anno prima che un «campo largo» possa iniziare a prendere forma. Il motivo è semplice: nel 2024 le Europee saranno un test decisivo per capire chi conquisterà il primato tra le forze di opposizione. E siccome le elezioni si terranno con il sistema proporzionale, di qui ad allora le tensioni tra i partiti saranno destinate ad aumentare.
Ma l’assenza di avversari per l’esecutivo non può essere considerato un fattore rassicurante. La prima ad esserne consapevole è Meloni, che analizzando i dossier di governo vede nel fattore tempo il suo più temibile avversario al cospetto dell’opinione pubblica. Un problema che a giudizio di uno dei suoi più importanti collaboratori non si evidenzia dal forte astensionismo registrato ieri: «Il calo di elettori c’è stato. Ma non è giusto raffrontare il dato con quello del 2018, perché allora in Lombardia e nel Lazio si votò lo stesso giorno delle Politiche». Resta comunque un problema di sistema nel rapporto tra politica e cittadini. Per risolverlo ci sono due vie: il presidenzialismo o il ritorno a una legge elettorale proporzionale con preferenze. E si sa qual è la scelta di Meloni, che non accetta di assecondare l’opzione dello status quo.
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