Il dilemma che torna per il Pd
Il caso Sanremo, per fortuna, è meno grave e se così si può dire più triviale. Ma forse lì la sinistra ha mostrato con ancor maggior ingenuità dove può condurla il «vuoto di idee» di cui l’accusa in un recente pamphlet Aldo Schiavone, rispettato intellettuale di quella parte politica. Il tentativo cioè di ovviare alla fine dell’età del lavoro e di conseguenza del socialismo, i due grandi fatti prodotti dalla svolta del tecno-capitalismo, ricorrendo a una serie di «piccoli sotterfugi», di espedienti per rimanere a galla: «Se la lotta di classe è finita, bisogna allora cambiare la classe cui appoggiarsi, non più gli operai ma gli emarginati, i senza lavoro, gli sfruttati, gli immigrati di ultima generazione… oppure sostituire il genere alla classe, oppure ancora mettere i cosiddetti diritti di libertà al posto dei diritti sociali, e così via».
Ognuno di questi «brandelli del nuovo mondo» merita ovviamente l’attenzione e il favore della sinistra. Ma nessuno di loro può sostituire l’utopia del socialismo, diventare un nuovo sol dell’avvenire, se non è sorretto da un pensiero, da un progetto di cambiamento che unifichi l’universo frammentato dei nuovi lavori fornendogli un cemento ideale, un consenso di massa e le armi della lotta politica.
Entusiasmarsi allora per le «trasgressioni» della kermesse canora, per quanto dirette contro la destra, non riempie di «principi» il vuoto lasciato dalla lotta di classe. E anzi rischia di aggrovigliare la matassa delle contraddizioni. Mi domando, per esempio, da che parte uno di sinistra dovrebbe stare nelle discussioni domestiche che pare si siano aperte in casa Ferragnez, tra il «femminismo» di Chiara, declamato in un monologo, e il «fluidismo» del marito, esibito in un ormai celebre bacio. Per usare la felice metafora di Tommaso Labate, che l’ha scritto sul Corriere, il salto da Rosa Luxembourg a Rosa Chemical è esattamente il cuore del problema di fronte alla sinistra.
Per questo, purtroppo per il Pd, ha ragione il suo segretario uscente, Enrico Letta, quando rileva che Giorgia Meloni è forte di un progetto politico chiaro. E oggi certamente più popolare, aggiungiamo noi; cioè più in sintonia con la maggioranza degli italiani. Protestare contro chi rileva questo fatto, per altro confermato di recente e per due volte dall’elettorato, sostenere che dopo cinque mesi questo possa già essere definito «il peggior governo di sempre», può servire solo a esorcizzare la realtà. Ma costruisce l’avversario migliore, quasi su misura, per la destra al governo.
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