Guerra in Ucraina: perché l’Unione europea è in trappola

Le paure dei confinanti

I russi non danno cifre ufficiali, ma secondo l’International Institute for Strategic Studies (IIss) hanno a disposizione 15.857 tank, inclusi i vecchi mezzi. I numeri salgono a 30.122 se si sommano anche i mezzi corazzati (secondo l’Istituto Global Firepower).

Nella guerra, Mosca sta impiegando una mole di 20mila proiettili d’artiglieria al giorno, una quantità che tutta l’Europa impiega un mese a produrre. Per dare un’idea, sono venti volte i proiettili che sta sparando l’Ucraina. Quindi tutti compatti nell’aiuto bellico a Kiev, con dei distinguo però sui tempi e i modiLa Finlandia, che pure condivide 1.300 km di confine con la Russia, esita a dare i suoi Leopard. Lo stesso vale per la Svezia che considera «non urgente» la questione. Va anche considerato il problema di non allarmare le opinioni pubbliche: «Molti governi europei – ha rivelato la premier estone – mandano gli armamenti, ma esigono il silenzio». Del resto l’Europa può permettersi scelte diverse, mentre Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca temono per la loro stessa sovranità? L’unanimità nello sforzo bellico è per ora considerata una via obbligata. «Europei e ucraini hanno legato il loro destino», ha scritto il Washington Post.

Ingresso di Kiev nella Ue

Il 2022 ha portato al pettine anche il nodo dell’ingresso di Kiev nell’Unione europea, che va avanti da più di vent’anni. «Il futuro di Kiev è con noi», proclamava nel 2005 José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea. E c’era anche la Germania, a spingere per l’integrazione. Nello stesso anno il commissario per l’Allargamento Olli Rehn (finlandese) invitava a «evitare la super-espansione» verso Kiev. Nel 2011, la responsabile della politica estera Catherine Ashton (britannica) rallentò la procedura d’ingresso. Nel 2016, il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, avvertiva che «ci vorranno 25 anni per far entrare l’Ucraina nella Ue». E ancora l’anno scorso l’ex commissario europeo Guenther Verheugen (tedesco) parlava di 10-15 anni. In sostanza questo abbraccio è sempre stato molto contrastato, ma dopo l’aggressione di Mosca il percorso si è accelerato. A giugno scorso Kiev ha ottenuto lo status di Paese candidato, ma si piò parlare di un imminente ingresso nella Ue in piena guerra?

Chi spinge, chi frena

I polacchi e i lituani spingono da sempre per una procedura rapida: una fretta che sorpassa e scontenta altri storici candidati che avrebbero i numeri già a posto, come l’Albania o la Macedonia del Nord. Ma anche qui i 27 Stati membri non la pensano allo stesso modo. Nel 2016 per esempio, su spinta del partito populista alleato della Lega, l’Olanda boccia con un referendum il primo accordo di libero scambio fra Ucraina e Ue. Quel «no» costringe l’Europa a cambiare il testo dell’accordo e a inserire anche un impegno a non «fornire a Kiev garanzie di sicurezza, aiuti finanziari e aiuti militari». Ora alcuni Paesi si chiedono che fine abbia fatto quell’impegno, specie in materia d’aiuti militari. Tirando le somme, sono tutti d’accordo sul fatto che l’Ucraina debba entrare nell’Ue, con qualche tentennamento sui tempi. La Germania, dipendente dal gas russo e chiamata ad addestrare le truppe di Kiev, è per non accelerare. La Francia va con i piedi di piombo perché ha un canale diplomatico aperto col Cremlino. Mentre l’Italia è condizionata dai dubbi di Lega e Forza Italia, partiti di governo più vicini ai russi.

Negoziati al punto zero

Le trattative per un cessate il fuoco non hanno fatto un solo passo: Russia e Ucraina sono ferme sulle loro posizioni. Il piano di dieci punti proposto da Zelensky per un accordo con Putin (ripristino dell’integrità territoriale ucraina, inclusa la Crimea) è considerato inaccettabile. Non esiste una proposta unica europea, ma iniziative sparpagliate. Il Consiglio di sicurezza delle nazioni Unite è paralizzato dal veto della Russia e dall’astensione della Cina. Chi sta mettendo l’aggredito in grado di difendersi con pesanti forniture d’armi sono la Gran Bretagna e gli Usa. E sarà Biden a dare il timing per veri negoziati. Intanto prosegue l’oscena contabilità di morte e distruzione.

dataroom@corriere.it

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