Zelensky, l’intervista: «Grato all’Italia per la scelta di mandarci armi. Berlusconi? Meloni è forte e terrà compatto il suo governo a sostegno di Kiev»

Ne parlerà con la Meloni?
«Assolutamente sì. Ho sentito le dichiarazioni di Berlusconi. Non lo conosco personalmente. Ma forse anche noi dobbiamo mandargli qualche cosa (il riferimento è a un audio in cui Berlusconi diceva di aver ricevuto 20 bottiglie di vodka da Putin, ndr ). Gli piace la Vodka? Noi ne abbiamo di ottima qualità in Ucraina, se crede gliela regaliamo».

Alla luce della crescente tensione tra Washington e Pechino, gli americani hanno espresso il timore che la Cina possa inviare armi alla Russia. Teme sia possibile?
«Il tema è complesso. Io personalmente mi sono rivolto ai dirigenti cinesi per canali diretti e pubblicamente affinché non offrano alcun sostegno ai russi in questa guerra. La mia speranza è che Pechino mantenga un atteggiamento pragmatico, si rischia altrimenti la Terza Guerra Mondiale, credo ne siano ben consapevoli. Dai primi anni Novanta, al memorandum di Budapest e per tutti gli accordi raggiunti da allora in poi, la Cina ha sempre mantenuto i suoi impegni. Personalmente mi auguro che la comunità internazionale aderisca compatta per sostenere il mio piano di pace in 10 punti, dove sono contemplate le garanzie americane, cinesi e delle maggiori potenze per difendere la sicurezza mondiale. Non credo invece sia più possibile restare neutrali, occorre scegliere. Il mio piano mira alla pace globale. Il nostro rapporto con la Cina è sempre stato ottimo, abbiamo intense relazioni economiche da molti anni ed è nell’interesse di tutti che non mutino. La sfida globale è sventare qualsiasi rischio di conflitto nucleare».

Ma avete rilevato l’arrivo di armi cinesi ai russi?
«Oggi non lo vediamo».

Il presidente Macron dice che la Russia va battuta ma non schiacciata e lascia aperto il dialogo con Putin. Concorda?
«Sarà un dialogo inutile, in realtà Macron sta perdendo il suo tempo. Sono arrivato alla conclusione per cui noi non siamo in grado di cambiare l’atteggiamento russo. Se hanno deciso di isolarsi nel sogno della ricostruzione del vecchio impero sovietico non possiamo farci nulla, sta a loro scegliere o meno di cooperare con la comunità delle nazioni sulla base del rispetto reciproco. Quando si erano imposte le sanzioni economiche c’era chi ci aveva accusato di isolare la Russia, ma non era la verità: è stata invece la decisione di lanciare la guerra che ha marginalizzato Putin».

Ad un anno dall’invasione come vede la situazione sul campo?
«I russi non hanno ancora capito che oggi siamo più forti di un anno fa e non potranno mai prendere l’Ucraina come speravano».

Putin però cambia tipo di guerra e si prepara per un conflitto di lunga durata, potete resistere?
«Ci prepariamo per una guerra corta e per la nostra vittoria. Più veloce sarà e meno vittime avremo, nel 2014 il conflitto si congelò e per noi non è andata bene. Gli accordi di Minsk hanno dato a Putin il tempo per preparare l’attacco improvviso dell’anno scorso, non cadremo più nella stessa trappola. I nostri soldati sono più motivati perché difendono le loro famiglie, le loro case. Abbiamo visto invece che le sanzioni economiche contro Mosca sono di grande aiuto, danno tempo e spazio per organizzarci».

Ma vale ancora la pena perdere uomini per difendere Bakhmut, una località minore del Donbass?
«Sì, non è una città particolarmente grande. In realtà come tante altre nel Donbass devastate dai russi. Per noi è importante difenderla, ma non a ogni prezzo e per morire tutti. Combatteremo sino a che sarà ragionevole, i russi vogliono poi continuare per Kramatorsk e Sloviansk, sino ai confini del Donbass e sino a Dnipro se possono. Noi resistiamo e intanto prepariamo il prossimo contrattacco».

Non teme che, se questa guerra dovesse durare ancora a lungo, il sostegno alleato ad un certo punto potrebbe svanire?
«Nessuno ama lottare da solo. Ma chi dovesse valutare che ad un certo punto noi potremmo venire abbandonati significa che non ha capito le motivazioni profonde della nostra battaglia. Non siamo i trecento spartani, neppure ci sentiamo eroi, ma dietro di noi sappiamo che c’è l’Europa e chi comprende il pericolo della minaccia russa».

Lo sa che un recente sondaggio rileva che soltanto il 50 per cento degli italiani ritiene che Putin sia l’aggressore?
«Ciò non significa che l’altro 50 per sento sia filorusso. Credo vi sia una parte significativa della popolazione che è indifferente, che teme la guerra, teme il costo dell’energia, l’inflazione. Insomma, gente normale che non vuole fastidi. Il mio sforzo è quello di spiegare perché ci difendiamo, per ricordare gli orrori dell’invasione, la violenza come se all’improvviso un bandito arrivasse a casa vostra per rubare, violentare vostra figlia e uccidervi. Voglio dire agli italiani che qui siamo come voi, mangiamo i vostri piatti, amiamo i nostri figli, noi combattiamo per sopravvivere».

Sarebbe pronto a mandare il suo esercito a difendere la Moldavia dai russi della Transinistria?
«La nostra intelligence ha avvisato la presidente Maia Sandu di questo pericolo e lei spiega di avere conferme in questo senso. Ci ringrazia e sa che noi siamo pronti ad aiutare. La Moldavia non confina con la Russia, ma i russi possono utilizzare gli aeroporti locali e i loro militari in Transinistria».

Come vede la ricostruzione dell’Ucraina?
«Noi abbiamo scelto di dare priorità al mercato europeo. Dobbiamo esportare cercando di ridurre le difficoltà logistiche, per esempio non il grano ma la farina già raffinata. Gli Stati Uniti stanno contribuendo ad accrescere le nostre tecnologie avanzate, siamo all’avanguardia nella progettazione e costruzione dei droni, nei sistemi di puntamento, le comunicazioni, la robotica di ogni tipo: la guerra ci spinge a rinnovare e sviluppare continuamente. I problemi energetici provocati dai bombardamenti russi, le carenze idriche, ci pungolano e esplorare la ricerca dell’energia verde e rinnovabile a partire dall’elettrico. Noi oggi siamo in grado di accumulare il gas, ma non l’elettricità, occorrono batterie di nuova concezione. In Africa stiamo pensando di ampliare i depositi per i nostri prodotti agricoli in almeno due Paesi importanti. Ovvio che qualsiasi investimento dall’estero necessita di sicurezza, gli imprenditori stranieri devono sentirsi sicuri. Da noi stiamo costruendo bunker nelle scuole: i genitori non vanno a lavorare se temono che i figli possano morire sotto le bombe. Attendiamo investimenti francesi, tedeschi, ma ovvio anche italiani. Noi invitiamo le vostre aziende a lavorare da noi, venite a partecipare alla nostra ricostruzione».

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