La guerra di Putin fa saltare gli ultimi tabù, anche Germania e Giappone si riarmano
Lucia Annunziata
Ricorderemo, probabilmente, questa 59ª edizione della
Conferenza di Monaco sulla sicurezza, come quella dei “proiettili”.
Oggetti di grandezza trascurabile per questo appuntamento, finito ieri,
che ogni anno riunisce qualche centinaio di capi di Stato e di governo,
leader politici, industriali e alti ranghi militari fianco a fianco con
gli analisti dei più importanti think tank, per discutere degli assetti
globali. Per molti anni scorsi questo incontro chiamato anche la Davos
della sicurezza, ha ruotato sulle sfide geopolitiche. Possibilmente
ripetendo ogni due frasi che se ne parlava per «mantenere la pace e
aumentare la cooperazione» globale.
Ancora l’anno passato, il 2022,
nella 58esima edizione tenutasi fra il 18 e il 20 di febbraio, finendo
quattro giorni prima che in Ucraina entrassero i carri armati Russi, un
presidente Zelensky in giacca, cravatta e camicia bianca, dovette fare
un lungo intervento per “conquistare” la platea, chiedendogli di stare
al fianco dell’Ucraina in caso di invasione, e proponendo delle sanzioni
preventive nei confronti di Mosca. Venne rassicurato e applaudito, ma
anche preso con qualche incredulità.
Quest’anno, il nuovo incontro di un Occidente immerso da un anno in una guerra sempre più vasta,
l’umore è stato decisamente diverso. Non invitati la Russia (lo scorso
anno fu invece Mosca a decidere di non andare) e l’Iran, la guerra ha
stravolto ogni sorta di “tecnicismo” in cui spesso l’appuntamento si
ancorava. E stavolta la conferenza è scesa giù giù dai massimi sistemi
fino ai proiettili, o meglio alla loro scarsità. Dettaglio che da solo
racconta il cambio avvenuto nel nostro mondo, a cominciare dall’Europa.
Ieri,
domenica, il tema delle munizioni è stato posto a conclusione
dell’ultima giornata, dal capo della diplomazia Eu, quel Joseph Borrell,
che conosciamo come voce, in tutte le circostanze, di ogni possibile
invito alle negoziazioni. Il diplomatico stavolta è stato invece molto
allarmato, e molto netto: «Ci troviamo in urgente modalità di guerra.
Questa carenza di munizioni deve essere risolta velocemente; in poche
settimane(di tempo, nda)». Sennò «la guerra sarà finita» – e non con una
vittoria, intendeva. Borrell ha anche dato una spiegazione per la
carenza di munizioni: «Succede perché abbiamo dimenticato le guerre
classiche».
Che le scorte di munizioni si stiano rapidamente esaurendo è un
fatto. L’Ucraina sta sparando, secondo stime di esperti, circa 7mila
proiettili al giorno, un terzo in più del volume dei russi. Il
Segretario della Nato Jens Stoltenberg ha alzato l’allarme su questa
scarsità. «L’attuale tasso di consumo per le munizioni dell’Ucraina è
molte volte superiore ai nostro attuale tasso di produzione».
L’importanza
della questione è tale che Borrell ha suggerito di adottare il modello
usato dalla Ue per il vaccino anti Covid. Ha anticipato che alla
riunione di oggi, lunedì, dei ministri degli esteri porterà la proposta
di utilizzare a questo scopo 3,6 miliardi dei fondi Europei, già
stanzianti per iniziative diplomatiche: «Dobbiamo usare quello che gli
Stati membri già hanno».
L’urgenza del suo discorso non è
occasionale. «Per gli aiuti militari deve esser fatto molto di più e
molto più velocemente. Dobbiamo aumentare e accelerare il nostro piano
di appoggio all’Ucraina. Oggi occorrono 10 mesi all’esercito europeo per
comprare un proiettile di 155mm, quasi un anno; e quasi 3 anni per
comprare un missile aria – aria. È un percorso che non funziona con il
tipo di situazione di guerra in cui viviamo».
La conclusione è un
passo avanti decisivo per la creazione di un bilancio militare comune:
«La difesa rimane un settore di competenza di ciascun Stato» ricorda
Borrell, «ma se i vari stati faranno un aumento ciascuno per sé,
aumenteremo i duplicati e non chiuderemo mai i buchi nella rete».
Finora, conclude, «abbiamo perso troppo tempo per prendere decisioni
fondamentali, tipo inviare i carriarmati». «La guerra in Ucraina può
agire come un risveglio e un incentivo contro i tabù, aumentando la
operatività della difesa di tutta l’Europa». Consapevole delle
implicazioni di questo invito, il diplomatico, ha precisato che il suo
scopo non è la militarizzazione dell’Europa, ma sostenere che l’Europa
debba «assumersi le proprie responsabilità, in modo da diventare un
potente e affidabile partner degli Usa».
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