Meloni, missione a Kiev: patto di ferro con Zelensky

dal nostro inviato   Ilario Lombardo

SUL TRENO PER KIEV. Negli ultimi centimetri di Europa, prima di salire sul treno che la porta a Kiev, Giorgia Meloni ha l’incedere veloce di chi ha fretta di cercarsi uno spazio nella storia che scorre drammaticamente rapida. Oggi vedrà i sobborghi sventrati dalle bombe di Putin prima di incontrare Zelensky al palazzo presidenziale Mariinskij. Parleranno di armi, di caccia europei, dell’arrivo imminente del sistema antiaereo italofrancese Samp/T, di tutto il sostegno possibile che il governo italiano non farà mancare nonostante le sferzate di Berlusconi e i distinguo dei leghisti di Salvini.

Nella stazione di partenza, ancora in Polonia, gli elmetti che otto mesi fa penzolavano dallo zainetto con il giubbotto antiproiettili non ci sono più. Lo scorso giugno, il tepore della tarda primavera accoglieva la passeggiata nella notte, quasi clandestina, di tre leader europei, e delle loro delegazioni. Draghi, Scholz e Macron erano qui, a compiere insieme, sullo stesso treno, una tratta che avrebbe portato l’abbraccio dell’Europa a Zelensky, meno di quattro mesi dopo l’inizio della carneficina di Putin.
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Oggi la fanghiglia sotto i piedi che soffoca il passo della marcia verso il treno, è il ricordo di una neve passeggera. Meloni si guarda anche lei attorno, sotto i lividi lampioni che ogni volta osservano, indifferenti, i capi di governo attraversare la banchina. A giugno gli occhi che spuntavano dalle villette ai lati della strada trasmettevano l’ansia di un popolo di confine che cercava di capire se la guerra si sarebbe trascinata ancora oltre l’estate. Ora è inverno. Il freddo lo senti prima ancora nello sguardo che si è fatto di pietra, ingrigito nell’attesa di una pace che non arriva. I polacchi di confine sono nascosti nella luce di una calma apparente che filtra dalle tende, nella timidezza di chi si affaccia curioso a osservare stranieri in cammino, che trascinano zaini, trolley e telecamere. Il treno è lì, un traghetto che attende in rada di attraversare la notte e l’Ucraina, per trasportare i leader in quella che è diventata la frontiera dell’Occidente. Gelido, il primo vagone in giallo e blu, i colori disperati e orgogliosi che da dodici mesi illuminano i monumenti di una fetta di mondo.

Il viaggio della premier italiana, a lungo rinviato, cade a ridosso del primo anniversario dell’invasione ordinata da Putin, a tre giorni dal 24 febbraio, a un soffio dalla data entro la quale Meloni aveva promesso di venire in Ucraina. Soprattutto coincide con la visita di Biden. L’arrivo a sorpresa a Kiev del capo della Casa Bianca e poi la tappa -prevista – a Varsavia ha un po’ appannato la notizia del passaggio della leader italiana nella capitale polacca. La presidente del Consiglio è in città per una manciata di ore, prima di ripartire verso il cuore dell’Ucraina. Alle 17 ha un appuntamento al palazzo del governo con il primo ministro Morawiecki. Il tempo di incrociarsi con Biden ci sarebbe. I diplomatici ci provano, ma sembra impossibile. Per qualche ora l’incontro non viene smentito. Finché diventa chiaro che non ci sarà. Si sfioreranno, senza vedersi, alle dieci di sera all’aeroporto di Rzezsow mentre Biden è di ritorno e Meloni sta andando a Kiev. La premier attende per quasi un’ora sulla pista, mentre il lungo corteo americano porta il presidente Usa sull’aereo. Il vuoto del mancato faccia a faccia, alla fine, viene riempito da una telefonata di Biden, annunciata qualche giorno fa. Nel pomeriggio l’agenda della premier cambia e spunta un colloquio anche con il presidente Duda, inizialmente non previsto. È l’omaggio all’altro uomo della destra polacca. Sono gli alleati di sempre di Meloni. E le affinità elettive di sovranismo emergono subito, intatte, nelle dichiarazioni congiunte alla stampa dei due leader conservatori. Il patto italo-polacco nasce nel sogno mai svanito dell’«Europa delle patrie» come la chiama Morawiecki, contro «le visioni utopistiche, federalistiche, che centralizzano a Bruxelles» ogni decisione. Parole scolpite da sempre nella mitologia meloniana: «Vogliamo un gigante politico e non un gigante burocratico». Il progetto dei Fratelli d’Europa è al momento una scommessa che poggia su una variabile – una possibile ma al momento difficile alleanza con il Partito popolare europeo per far fuori i socialisti – e un’intesa sentimentale anti-tedesca. La Germania viene citata da Morawiecki ed evocata da Meloni.

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