Emergenza migranti, lo stallo dell’Europa

MARCO BRESOLIN

INVIATO A BRUXELLES. «Sì, è il momento di fare qualcosa. Ma noi lo stiamo facendo e non da oggi…». La replica che arriva da una portavoce della Commissione europea alle critiche piovute dall’Italia dopo l’ennesima strage di migranti è netta. L’esecutivo Ue non ci sta a fare da parafulmine sul fallimento delle politiche migratorie. E ricorda due elementi non di poco conto. Il primo è che «l’Italia è il principale beneficiario del fondo Asilo e immigrazione (Amif, ndr)». Il secondo è che «c’è un obbligo giuridico di salvare vite in mare» e che «il compito di coordinare le azioni di ricerca e salvataggio spetta agli Stati membri, non a Frontex».

La Commissione europea sa benissimo quanto sia politicamente sensibile questo tema in Italia e vuole evitare a tutti i costi di infiammare lo scontro con il governo guidato da Giorgia Meloni. Ma al tempo stesso ci tiene a rivendicare quanto fatto finora. E, di conseguenza, a scaricare nel campo delle competenze degli Stati ciò che ancora resta da fare. «La risposta a lungo termine è la riforma del Patto», prosegue la portavoce, lasciando intendere che spetta ai governi mettersi d’accordo sulle nuove regole, cosa che ancora non è avvenuta. Nel frattempo, «servono azioni operative» e l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen è convinto di avere la coscienza apposto: per andare incontro alle esigenze dell’Italia «è stato allestito un meccanismo di ridistribuzione dei migranti su base volontaria, noi abbiamo offerto un supporto operativo». E se a oggi sono stati trasferiti soltanto 255 richiedenti asilo (sugli ottomila previsti), la colpa non andrebbe ricercata a Bruxelles, ma nelle capitali che procedono a rilento.

Dal Palazzo Berlaymont sottolineano inoltre che, per aiutare l’Italia, sono state messe in campo le agenzie Ue («Frontex è attiva con 280 persone»), è stato riattivato il gruppo di contatto sulle attività di ricerca e salvataggio ed è stato predisposto un piano ad hoc «per la rotta del Mediterraneo Centrale con 20 azioni concrete». Ieri la premier Meloni ha detto di aver scritto ai vertici Ue chiedendo di attuarle «immediatamente» e insistendo sul fatto che «bisogna fermare le partenze». Bisogna agire in Africa, ma non solo. Il Consiglio europeo di febbraio aveva chiesto alla Commissione di predisporre un piano d’azione analogo anche per la rotta del Mediterraneo orientale, quella che riguarda direttamente la tragedia di domenica. Ma fonti Ue spiegano che è difficile aspettarsi una proposta già entro il vertice di marzo. È una rotta molto battuta, con le navi che partono in direzione di Cipro, Grecia e Italia. Per frenare le partenze bisogna affrontare la questione con la Turchia. E oggi è il momento peggiore per farlo.

La Commissione precisa che l’accordo siglato nel 2016 resta valido e «la Turchia deve rispettarlo». Ma il terremoto che ha devastato il Paese rende oggettivamente difficile chiedere a Erdogan uno sforzo supplementare per controllare i propri porti. Non solo: a maggio sono in programma le elezioni e il rischio è di dover rinviare tutto alla fase post-voto. Per questo, all’interno della Commissione c’è chi ritiene irrealizzabile la predisposizione di un piano per la rotta del Mediterraneo orientale in tempo per il prossimo Consiglio europeo. Ma il pressing politico è forte. Tra l’altro la questione si intreccia con i flussi lungo la rotta balcanica e le discussioni sulla possibilità di finanziare con i fondi Ue la barriera che la Bulgaria intende costruire proprio al confine con la Turchia.

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