La stanga di De Gasperi e la forza di Mattarella
Le democrazie resistono. Ma se la passano male. L’America non ha ancora superato il trauma dell’assalto a Capitol Hill: resta ipertesa per le mattane di Trump e rimane appesa alla ricandidatura di Biden. Israele è a un passo dalla guerra civile: da due mesi l’intero Paese, compresi i riservisti dell’esercito e i dipendenti del Mossad, si mobilita contro la riforma della giustizia del falco Netanyahu, che toglie poteri alla Corte Suprema. In Francia Macron impone la riforma previdenziale solo grazie ai “poteri speciali” (manco ci fosse un Papeete a Parigi). Il popolo in piazza risale sulle barricate, ancora annerite dai roghi che cinque anni fa i gilet gialli appiccavano ogni fine settimana sui Campi Elisi: oggi come allora, per stare alle parole di Annie Ernaux, non se ne può uscire «senza un po’ di violenza».
E pazienza se la legge Macron alza l’età pensionabile a 64 anni, nell’unico Paese europeo che ancora la fissa a 62. Ce n’è abbastanza per mettere a ferro e fuoco la non più Douce France, con buona pace per quei fessi degli italiani che nel 2011 accettarono senza un plissé la legge Fornero, che l’età pensionabile l’ha elevata a 67 anni. E ce n’è abbastanza perché Simone Kuper, sul New York Times, scriva «è tempo di porre fine alla Quinta Repubblica, con la sua presidenza onnipotente, la cosa più vicina a una dittatura eletta nel mondo sviluppato, e inaugurare una Sesta Repubblica meno autocratica». La Germania di Olaf Scholz sta pagando il prezzo più alto all’indecisione politica del Cancelliere e alla storica dipendenza dal gas russo: tremano i giganti del credito, e anche lì da domani scatta la rivolta sociale con il Gross Streik, il maxi sciopero che paralizzerà i trasporti in tutto il Paese, unendo in una storica alleanza le due principali sigle sindacali.
La Gran Bretagna di Rishi Sunak vive l’ora più buia, unico Paese in recessione già dal 2023, con un Pil che cala dello 0,6%, un’inflazione al 16. Sei inglesi su dieci sono pentiti della Brexit e voterebbero per un ritorno immediato nella Ue, con tanti saluti al premier che considera ancora “un’enorme opportunità” il divorzio tra Londra e Bruxelles.
Tre choc globali in quindici anni hanno fiaccato i governi, devastato le economie, avvelenato le società. In modo strisciante, si insinua anche in Occidente l’idea che dalla delegittimazione della politica e dalla disaffezione delle opinioni pubbliche si possa uscire solo con la secessione delle élite: cioè alterando la qualità delle democrazie, intaccando i pilastri del costituzionalismo e rafforzando l’esecutivo a scapito degli altri poteri. Per questo, in Italia, è prezioso il Presidente della Repubblica. Teniamocelo stretto, Sergio Mattarella. Nella sua ultima esternazione, all’assemblea fiorentina delle Camere di Commercio, rilancia l’appello di Alcide De Gasperi, che al congresso della Dc di Venezia, nel giugno del ’49, invitò tutti gli italiani a “scendere dal carro e a mettersi alla stanga”, per trainare l’Italia fuori dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Parla del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, il Capo dello Stato, preoccupato dei ritardi conclamati della macchina politico-amministrativa, che possono farci perdere i 34 miliardi dei prossimi due “assegni” europei. Rischiamo di fallire l’obiettivo, perché come avverte Paolo Gentiloni, invece di essere ossessionata da questa missione la politica insegue le farfalle del Ponte sullo Stretto e della flat tax. Sarebbe un delitto. Il Pnrr è il nostro Piano Marshall, che proprio De Gasperi ottenne nel suo “Viaggio del pane”, nel gennaio del ’47, quando volò con il cappello in mano negli Stati Uniti.
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