Bobbio, Ignazio e l’equazione tra fascismo e antifascismo

Lo scandalo La Russa consiste esattamente in questo. Un post-fascista e post-missino che mai ha rinnegato tutto ciò in cui ha creduto e crede, e che per ciò stesso non avrebbe mai dovuto essere né candidato né eletto presidente del Senato. La sua escalation non è più solo imbarazzante: è agghiacciante. A costo di annoiare i fautori del “primato della realtà” come Pietrangelo Buttafuoco (forse l’unico pensatore libero della destra italiana) conviene un veloce ripasso della Dottrina La Russa. Ha annunciato che non festeggerà il 25 aprile perché “festa divisiva e di parte”, e ha proposto di trasformarla in giornata di concordia nazionale per i caduti di tutte le guerre. Ha rivendicato il busto di Mussolini, custodito nel suo salotto di casa. Ha ricordato suo padre e celebrato l’anniversario dell’Msi, partito “libero e democratico” e “rispettoso della Costituzione”. A Roma, nel Giorno della Shoah, ha condannato l’Olocausto e le leggi razziali senza mai pronunciare la parola “fascismo”, e ha rifiutato di incontrare uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz, Sami Modiano, “per non politicizzare il tema”. A Gerusalemme, dopo aver visitato Yed Vashem, è sfuggito in silenzio alla domanda “il fascismo è il male assoluto?”, proprio lui, Lanciafiamme dei Patrioti, che con voce grave erutta parole su tutto, compresa la grazia delle donne di destra o la disgrazia dei figli omosessuali.

Era chiaro che un politico del genere non avrebbe mai dovuto assurgere al sommo seggio senatoriale. Finora si era limitato a difendere idealità e omettere verità. Ma l’altro ieri, con la sparata su Via Rasella, è andato oltre. La verità l’ha violentata, con quel riferimento farlocco all’attentato del 23 marzo 1944 in cui i partigiani non uccisero “biechi nazisti delle SS ma una banda musicale di semi-pensionati altoatesini”. Che schifosa menzogna sia questa, e che oltraggio rappresenti per la Resistenza, per la comunità ebraica e per le 335 vittime innocenti delle Fosse Ardeatine, lo hanno già chiarito qui Giovanni De Luna ed Elena Loewenthal. Non tornerò sopra al famigerato “Battaglione Bozen”, che a Roma non suonava i violini ma sparava con i mitra. Quello che interessa, e che indigna, è che La Russa ancora una volta metta sullo stesso piano “l’aggressore e l’aggredito” (accostamento giustamente bandito solo se si parla di Ucraina) e accrediti la bugia secondo la quale i gappisti “vigliacchi” non si consegnarono dopo l’attentato, e così non impedirono il successivo eccidio delle Fosse. Le cose a posto le ha rimesse per sempre Alessandro Portelli, nel suo monumentale “L’ordine è già stato eseguito”: l’annuncio della rappresaglia fu dato solo dopo che era già stata compiuta, non ci fu nessuna richiesta, nessuna possibilità di presentarsi ai tedeschi, nessun manifesto affisso ai muri, nessun comunicato radio, nessun serio tentativo di catturare chi aveva compiuto l’azione.

Eppure La Russa lo sostiene, insiste anche il giorno dopo, facendo solo una parziale retromarcia per non aver riconosciuto che quelli erano “nazisti”, bontà sua, ma per il resto confermando la sua tesi folle e aggiungendo che nella Resistenza ci furono “atti ben più gloriosi, come il sacrificio di Salvo D’Acquisto, che si consegnò ai nazisti senza aver fatto nulla solo per salvare la vita a cittadini innocenti”. Il messaggio è sempre il medesimo: scaricare la responsabilità di tutto sui partigiani, assassini almeno se non peggio dei nazisti. Lo stesso registro che usò all’epoca l’Osservatore Romano, “addolorato in nome dell’umanità e dei sentimenti cristiani, per quelle 32 vittime da una parte, e 320 persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto dall’altra…”. Ecco, per il patriota Ignazio Benito di oggi i tre “soggetti” della mistificazione corrispondono a quelli del quotidiano della Santa Sede del ’44: i tedeschi sono le vittime, i 335 massacrati alle Ardeatine sono le persone sacrificate, i gappisti sono i colpevoli sfuggiti all’arresto.

Il dispositivo ideologico e culturale è ancora quello di cui scrive Portelli. Creare intorno alla tragedia nazifascista un senso comune intriso di disinformazione e una contro-narrazione alternativa alla vulgata resistenziale. In sintesi: si tratta di “avvelenare la memoria degli eventi”. E di imporre una Contro-Storia rifondativa della Nazione, dove non esistono più il torto e la ragione perché sono tutti colpevoli e quindi nessuno è colpevole, e dove si predica l’opposto di quello che diceva Don Milani e cioè non è giusto fare parti uguali tra disuguali. Al fondo, con i Fratelli d’Italia ritorna attuale il teorema di Norberto Bobbio, che ne scrisse su La Stampa e nei suoi saggi: c’è una destra che punta a buttare nello stesso calderone i totalitarismi del Novecento, e che attraverso l’assimilazione tra Fascismo e Comunismo vuole in realtà equiparare Fascismo e Antifascismo. Per dar loro pari dignità. O liquidarli entrambi, una volta per sempre. E rifarsi così, con una scorciatoia posticcia, una vita politica e una nuova carta d’identità.

Peccato che l’Antifascismo è un valore costituzionale, solennemente scolpito dalla XII Disposizione Finale. Peccato che La Russa sulla Costituzione antifascista ha giurato. Peccato che La Russa è figlio legittimo della Fiamma di Almirante e Rauti, che ancora a fine ’97 affiggeva manifesti in cui si invocava “libertà per Priebke e condanna per i partigiani assassini”. E peccato che La Russa, nell’aprile del ’73, partecipasse col fratello Romano ai cortei milanesi più violenti del Fronte della Gioventù, in uno dei quali l’agente di Polizia Antonio Marino fu dilaniato da una bomba Srcm lanciata dai neo-fascisti.

Peccato, peccato, peccato. Nonostante tutti questi “peccato”, Ignazio Benito è (ancora) presidente del Senato. “Supplente” di Sergio Mattarella, quando il Capo dello Stato è in viaggio o nella malaugurata ipotesi in cui dovesse avere un impedimento. Per questo, signor Presidente La Russa – anche se sappiamo che non si dimetterà, come ha già scritto Andrea Malaguti – noi la aspettiamo al varco del 25 aprile. E per questo, oggi come ai tempi dell’affaire Dreyfus, non ci rassegniamo al “tradimento dei chierici” e dei sedicenti intellettuali che, riparati dalla foglia di fico del terzismo e dell’imparzialità, si fanno servi di ogni ideologia.

LA STAMPA

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