Cara Meloni, la Ue aspetta il suo piano
Paolo Gentiloni lo ripete da settimane: «Il Pnrr deve diventare un’ossessione per la politica italiana». Nelle occasioni pubbliche si mostra ottimista: «Sono convinto che il governo sia consapevole della posta in gioco, il quadro congiunturale sull’Italia è positivo, e la terza tranche dei fondi non è in discussione…». Ma nelle conversazioni private il Commissario Ue è assai più perplesso: «Sento un clima che non mi piace, vedo troppa gente che si frega le mani perché l’economia regge e che invece se ne frega del Pnrr. Ma ci rendiamo conto che quella è l’unica chance che il Paese ha per avviare un percorso di vera crescita? Pensiamo davvero di potercela giocare così, dicendo semplicemente “non ce la facciamo”? Sarebbe un errore fatale, che pagheremmo noi e le future generazioni…». A Bruxelles questo timore è molto più forte di quello che sembra. Nessuno getta la croce addosso a Meloni, nessuno erige statue equestri a Mario Draghi e meno che mai a Giuseppe Conte, nonostante l’autoesaltazione con la quale celebra la sua «battaglia vinta per portare a casa 209 miliardi» (mentre è noto che nella valigetta con la quale è tornato a Roma dopo l’ultimo vertice europeo non c’era ancora niente). Ma una cosa sembra certa: con Draghi a Palazzo Chigi almeno “la stanga” funzionava, la pressione sulle strutture tecnico-ministeriali, sulle Ferrovie, sulle Regioni era forte e costante. La paura è che adesso questa “tensione positiva” sia venuta meno. Che il fiato sul collo da parte della struttura guidata dal sottosegretario Mantovano non si senta più. Che il sistema stia mollando proprio perché, tanto, «non ce la faremo mai».
La prova di questo cedimento, dal punto di vista europeo, sta in un fatto oggettivo. Come ha detto a La Stampa un ministro, bisognerebbe o «rinunciare almeno alla metà dei 200 miliardi previsti» oppure «chiedere all’Europa un rinvio». Altri membri del governo insistono a dire che bisognerebbe «cambiare il Pnrr». Il responsabile del Piano, Raffaele Fitto, si limita a ripetere che «ci sono risorse che si possono spostare sui Fondi di coesione». A parte la «cacofonia totale», come dicono i commissari, quello che conta è che in realtà, finora, «a Bruxelles non è arrivata nessuna richiesta da parte del governo italiano». Gentiloni non se ne fa una ragione, e lo dice ormai quasi ogni giorno: «Siamo pronti a trattare con l’Italia, come abbiamo già fatto con la Germania e con la Spagna: da parte della Commissione c’è il massimo della disponibilità e della flessibilità…». Ma il paradosso è proprio questo: finora, a Palazzo Berlaymont, nessuno ha bussato né ha fatto una telefonata. Per questo, al momento, nelle sedi comunitarie «nessuno sa quale sia il reale stato di attuazione del Pnrr, nessuno sa quale sia la proposta di modifica del governo di Roma».
Eppure c’è in ballo una manna da una quarantina di miliardi. «Praticamente una Legge finanziaria l’anno, di qui al 2026», come la definisce Gentiloni. Se ne può fare a meno, per tornare a vivacchiare con un Pil che cresce dello 0,6 per cento, meno della metà della media Ue? La terza rata arriverà a giorni. Ma di questo passo, che ne sarà delle altre due tranche di fine giugno e di fine dicembre? E di quelle successive? Se tra i patrioti e i sovranisti c’è ancora chi immagina un’Europa che vuole sabotare o a fare dispetti al Belpaese, e sogna di dare la colpa a Bruxelles per l’eventuale Caporetto sul Pnrr, è decisamente fuoristrada. Mai come oggi a Bruxelles c’è una ferma determinazione a trattare con la premier italiana. Anche perché conviene: a conti fatti, Meloni «guida il governo più stabile d’Europa», tra Macron che è ormai in minoranza nell’Assemblea Nazionale e nelle piazze, Scholz fermo al semaforo come la sua coalizione, la Spagna e la Grecia già paralizzate dalla campagna elettorale, l’Olanda di Rutte che col suo 12 per cento guida un Parlamento con ventuno partiti.
Anche per questo la Sorella d’Italia farebbe bene a cogliere l’attimo. E a non lasciarsi sfuggire l’occasione di negoziare subito un buon accordo con la Commissione. Alzare bandiera bianca, adesso, sarebbe una resa costosa e rischiosa, oltre che disonorevole per tutti. A meno che Meloni non abbia un’altra idea in testa: sacrificare il Pnrr, far esplodere il dramma migranti e poi, nella campagna elettorale del 2024, lanciare la Grande Crociata contro l’Europa guidando tutti i partiti conservatori dell’Unione. Ma non ci vogliamo credere. È un’idea troppo pazza per essere vera.
LA STAMPA
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