La pantomima di Ignazio

Potrebbe andar bene una breve autosospensione ma è francamente irrealistico pensarlo. Piuttosto il presidente del Senato potrebbe approfittare del prossimo 25 aprile per riconoscere pubblicamente e con chiarezza (senza più incertezze, retropensieri o riserve) che proprio nel vituperato antifascismo è il Dna della nostra Costituzione. Essa infatti (oltre ad avere un valore educativo e propositivo di eccezionale forza, per cui funziona come un insieme di linee guida per un nuovo ordinamento democratico), si può leggere come un libro di storia: nel senso che enunzia tutta una serie di principi nel ricordo dello scempio che ne aveva fatto il fascismo di cui si vuole impedire il ritorno. Basterà menzionare l’art. 3 prima parte, che – vietando ogni discriminazione – evoca la violenta avversione fascista verso qualsiasi forma di opposizione, la politica maschilista del regime, le vergognose leggi razziali contro gli ebrei, le vessazioni nei confronti delle minoranze linguistiche francese, slovena, ladina; o l’art. 11, che – ripudiando la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli – è anche un’evidente reazione alle guerre coloniali e all’immane tragedia della Seconda guerra mondiale; e ancora i diritti elencati nel titolo dei rapporti civili (inviolabilità della libertà personale, del domicilio, della corrispondenza; libertà di circolazione e soggiorno, di riunione, di associazione, di manifestazione del pensiero), che evocano lo sterminio delle libertà operato dal regime fascista.

Soprattutto, invece di praticare il revisionismo fittizio di cui sopra, sarebbe finalmente l’ora di riconoscere e accettare un dato fondante della democrazia. Vale a dire che è giusto sforzarsi di costruire ponti di pace fra gli italiani, nel rispetto però della verità e della storia. Le quali – parafrasando Italo Calvino – dicono che anche il più idealista, il più onesto, il più dolce dei repubblichini si batteva per una causa sbagliata, la dittatura; mentre anche il più ignaro, il più balordo, il più spregiudicato dei partigiani si batteva per una causa giusta, la democrazia. Tenendo quindi ben salda la distinzione tra chi ha combattuto per la dittatura e chi invece ha combattuto per la libertà: la libertà di tutti, anche di quelli che stavano dall’altra parte.

Con la conclusione che se avessero vinto “gli altri” Sandro Pertini sarebbe tornato in galera invece di diventare Presidente della Repubblica; mentre a La Russa “gli altri” -vincendo- han consentito la scalata ai vertici delle istituzioni democratiche.

LA STAMPA

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