Nomine, la mossa del cavallo della premier: manager blindati per lanciare il Pnrr

In effetti una dimostrazione di vigore sarebbe proprio necessaria. Non è un mistero che il governo giri a vuoto, che la cassa langue e che le misure stratosferiche promesse alla propria base elettorale (e ai propri alleati) sono, appunto, soltanto promesse.

Non bisogna nemmeno andare lontani per capire: il Pnrr non gira, è come una cassaforte di cui non si hanno le chiavi. Non lo si può aprire (perché mancano uomini e competenze per avviarlo) e se non si apre non si può nemmeno modificare. Al netto di passerelle internazionali e di atti di presenzialismo, il governo è inchiodato su questo problema, che ci inchioda anche nei nostri rapporti con l’Europa.

Ed è probabilmente la soluzione della questione Pnrr su cui dobbiamo tenere gli occhi fissi per capire a che punto siamo. La partita delle nomine può dare al premier più poteri, ma anche (e forse soprattutto) più strumenti: le prime cinque aziende partecipate di cui si discute valgono in borsa 141 miliardi (valore di giovedì scorso), hanno uomini e competenze in abbondanza per coprire missioni specifiche di cui si occupano, ma anche per esercitare la loro influenza su un ampio spettro di questioni nazionali e internazionali.

In sintesi: da sole queste aziende possono diventare il core della messa a terra del Pnrr, in cui per altro hanno già assegnato un ruolo da parte dell’Europa.

Unirle, farne un unico corpo di progetto ed esecuzione, è la soluzione semplice che è davanti a tutti e che nessuno vuol vedere. Lo diceva alcuni giorni fa in una intervista il sindaco di Milano Giuseppe Sala: «Alla fine il Pnrr si farà con Eni, Enel e Leonardo». Il sindaco non ne era felice, e il governo non era felice della sua uscita. Forse perché è una verità lampante.

Il punto è che in politica, se questa fosse la soluzione, avverrebbe qualcosa; un cambio, che avrebbe profondi impatti sugli equilibri interni del governo. La presidente del Consiglio potrebbe infatti immaginare questo patto con le aziende pubbliche come un suo bel Cdm privato molto ristretto e molto competente, ben fornito di liquidità e molto operativo. Un salto nell’efficacia di governo, sicuro; una liberazione dalle dinamiche della coalizione, certo. Ma anche la prefigurazione di un ruolo di accentramento decisionale che al momento non è previsto nella descrizione del lavoro del presidente del Consiglio.

Almeno finché Giorgia Meloni non riuscirà a formulare anche una riforma istituzionale a favore del presidenzialismo o del premierato. E a farsela votare.

LA STAMPA

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