Cosa lascerà alla politica un Cavaliere senza eredi
Non vi sforzate di immaginare il dopo Berlusconi: come D’Annunzio, ma più triviale e teatrale del Vate, il Cavaliere ha vissuto e vive una “vita inimitabile”. E dunque non replicabile. Si rassegnino figli e famigli, senatori e coordinatori, deputate e fidanzate, badanti e cantanti: al di là dei patrimoni miliardari e dei conti fiduciari, delle ville ottocentesche e delle residenze picaresche, non c’è un’altra eredità da spartire. Solo la “roba”. Che è tanta, tantissima. Ma non c’entra (più) niente con la politica. Come tutti, e senza falsa retorica, auguriamo anche noi al “Presidente” di rialzarsi anche stavolta, dopo l’ennesima caduta cui lo condannano il Fato, la malattia, l’anagrafe. Ma come tutti, con altrettanta onestà, dobbiamo sapere che il suo finale di partita – speriamo comunque più lungo e sereno possibile – coincide inevitabilmente con la fine del suo partito.
Berlusconi è esistito ed esisterà anche senza Forza Italia: prima della politica c’erano già sia il costruttore seriale che ha sfornato Milano Due sia il tycoon televisivo che ha stravolto i nostri usi culturali e i nostri consumi commerciali. Ma Forza Italia non sarebbe esistita e non può esistere senza Berlusconi. Questo destino inscindibile è l’essenza stessa del “partito personale” che lui ha fondato e plasmato a sua immagine e somiglianza (e nel quale si sono beatamente rispecchiati corrivi cantori e cattivi imitatori, in Italia e nel mondo). Ed è l’effetto naturale e non collaterale del primo dei tre lasciti che (insieme al populismo e al bipolarismo) il Cavaliere consegna alla Storia italiana: il leaderismo. Cioè la sacralità del comando e la natura octroyée del suo esercizio, dove ogni atto non è negoziato ma concesso dal sovrano al suddito.
L’unto del Signore, auto-investito di un mandato messianico e sempre titanico, “scende in campo” con una missione epocale: salvare l’Italia dai comunisti (benché rimanga in eterno il sospetto che l’abbia fatto per salvare se stesso dai processi). Per questo inventa dal nulla il “partito di plastica”, trasformando la rete della raccolta Publitalia nella tela del consenso azzurro, e in pochi anni lo trasforma nel “partito di Silvio”. Col suo carisma e col suo strapotere, tutto decide e tutto amministra. Con la sua spregiudicata destrezza e la sua smisurata ricchezza, applica alla politica la regola che Enrico Cuccia adattava alla finanza: “Ogni uomo ha un prezzo” (lui di suo ci aggiunge anche “ogni donna”, ma questo è un altro discorso). Nel Palazzo, come al Mercato, tutto si può comprare e vendere: leggi e sentenze, elettori ed eletti, concessioni e condoni.
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