Il Pnrr vale il doppio del Piano Marshall: perché i soldi dell’Europa non devono andare persi

di Ferruccio de Bortoli

Anche il pluricelebrato piano Marshall fu accompagnato da dubbi e polemiche sui tempi di attuazione, sulla nostra capacità di spendere e investire. Lucius Dayton, capo della missione speciale Eca (Economic cooperation administration) arrivò a minacciare il governo di Alcide De Gasperi di non versare la terza rata degli aiuti. «Si può fare di più» recitava un allarmato titolo del Corriere d’Informazione, del 5-6 ottobre del 1950, che dava conto delle parole contenute nella lettera di messa in mora del governo scritta dall’inviato dell’amministrazione americana. Era in gioco un assegno di 218 milioni di dollari, nel terzo anno del programma Erp (European recovery program). Giorgio La Malfa, in un articolo sul Sole 24 Ore, ricorda un episodio significativo. Donato Menichella, governatore della Banca d’Italia, incarica il presidente dell’Iri, l’Istituto per la ricostruzione industriale, Francesco Giordani, di accedere ai finanziamenti della Banca mondiale — di cui era membro del board — per lo sviluppo del Mezzogiorno. Giordani si sente rispondere: «Ma se non siete riusciti a spendere tutti i soldi del piano Marshall!».

La Cassa del Mezzogiorno

Nasce così, nel 1950, grazie all’intuizione di Pasquale Saraceno — e proprio per superare le rigidità americane — la Cassa del Mezzogiorno. Uno strumento più adatto per assicurare, come in realtà avverrà, una stagione di investimenti produttivi. E ridurre le disuguaglianze fra Nord e Sud. Il nostro potente alleato, vincitore della Seconda Guerra Mondiale, spingeva affinché gli aiuti si traducessero — al di là degli interessi di mercato delle aziende americane e degli investimenti nella Difesa — in lavoro e reddito, dunque minori tensioni sociali. Un argine all’ascesa comunista. Era quella un’Italia che usciva dalla guerra prostrata da morti e distruzioni, visibili ogni giorno agli occhi di chi andava a lavorare, ferite aperte in tutte le memorie familiari. Le previsioni

Riscatto nazionale

Una Repubblica appena nata, una Costituzione appena scritta, un Paese assetato di libertà con la voglia di conquistare il futuro. Se soltanto una parte, anche piccola, di quel sentimento di riscatto nazionale fosse presente oggi, i dubbi sulla nostra capacità di portare a termine, nei tempi previsti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sarebbero fortemente limitati. Il piano Marshall fu la premessa del miracolo economico italiano, grazie al quale il nostro Paese si affermerà tra le sette più grandi economie del mondo (addirittura quinta alla fine degli anni Ottanta). Il Pnrr vale il doppio del piano Marshall portato ai valori attuali. Il doppio! Possibile che non riesca — inutile illudersi in un secondo miracolo economico — a riportarci su un cammino di crescita duratura e stabile? Ma quella era un’Italia più giovane, che faceva più figli, che si accontentava di ciò che aveva, disposta al sacrificio. C’era una grande forza lavoro. Anche sottoutilizzata. Un’esuberanza imprenditoriale. Anche selvaggia. Si continuava a emigrare (solo nel 1975 il saldo fra immigrazione ed emigrazione cambierà di segno). La produzione industriale nel 1948 era tornata già ai livelli pre guerra. E così il reddito pro capite nel 1950. Noi, nel 2023, non siamo ancora riusciti a tornare al 2008, al tempo della crisi finanziaria, nonostante la nostra crescita sia stata dell’11 per cento in due anni. Ci accontentiamo — considerandolo quasi miracoloso — di aver recuperato il livello di Prodotto interno lordo (Pil) del 2019.

Le difficoltà

Si fa un gran parlare in questi giorni delle difficoltà del governo Meloni nel rispetto dei tempi del Pnrr con il rischio di perdere la prossima rata. La terza, come ai tempi del piano Marshall. Ma di 19 miliardi per il 2022. La prossima rata (16 miliardi) dovrebbe essere pagata a fine giugno. A patto che si raggiungano 27 obiettivi (96 nell’intero anno). La realtà (amara) è che nessuno sa esattamente a che punto siamo.E anche oggi, come nel 1950, i principali problemi riguardano progetti nelle aree del Sud per le quali è destinato il 40% dei sussidi e dei prestiti avuti dall’Unione europea. All’epoca del piano Marshall si risolse con una struttura ad hoc, la Cassa del Mezzogiorno. Ci si chiede, di conseguenza, se nel previsto (dal Pnrr) esercizio dei poteri sostitutivi degli enti locali e dei comuni, non sia necessaria una figura o una struttura commissariale.

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