Il Pnrr vale il doppio del Piano Marshall: perché i soldi dell’Europa non devono andare persi
I calcoli
L’Osservatorio sul Pnrr dell’Ambrosetti Club è, insieme all’enciclopedica relazione della Corte dei Conti, un documento utile per mettere a fuoco i principali ostacoli. Metà spesa programmata fino a tutto il 2022 è slittata in avanti. Delle sei missioni del Pnrr, quella che registra la percentuale minore di attuazione finanziaria è la salute. Curioso per un Paese che è stato l’epicentro mondiale della pandemia. Circa 62 miliardi sono stati destinati ai Comuni. Il 77% dei quali, con il 65 per cento dei progetti, ha meno di 5 mila abitanti e presumibilmente qualche problema in più, rispetto alle grandi città, nell’esecuzione dei lavori. Il numero medio di progetti è di 12 per comune. Solo sei amministrazioni locali, di cui quattro in Piemonte, non hanno presentato domande. Molti di questi Comuni sono in dissesto. Nel Mezzogiorno il 26 per cento degli abitanti vive in Comuni in dissesto finanziario. In Sicilia uno su due. Nell’Italia del 1950 l’offerta creava nuova domanda, l’industrializzazione nuovi bisogni e consumi in una società essenzialmente ancora agricola. Oggi viviamo il paradosso di aver creato, anche artificialmente con bonus e sussidi, un eccesso di domanda (che spinge l’inflazione) senza avere un’adeguata offerta.
I bonus
Il caso più clamoroso è quello dell’edilizia, che assorbe il 32,6 per cento della spese per investimenti, circa 60 miliardi. In un settore nel quale gli incentivi, in particolare il famigerato 110 per cento, hanno già creato uno spiazzamento rispetto al Pnrr per il quale ci sono bandi, ben più complessi e meno redditizi di un accordo con il committente a spese di un terzo (il contribuente). L’extra fatturato per il settore del solo Pnrr è dell’11,9 per cento, ovvero 100 mila posti di lavoro che si fatica a coprire. Il 95% delle aziende ha meno di 9 dipendenti e questo spiega anche la difficoltà nell’accedere alle gare. Altri esempi. Ci sono 4,5 miliardi per l’acquisto di bus elettrici che l’Italia non è in grado di produrre. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ricorda anche la difficoltà di accedere ai bandi sulla digitalizzazione per la mancanza di concorrenti adeguati. E in questo quadro stupisce una ricerca di Intesa Sanpaolo nella quale si dice che sei imprese su dieci non conoscono le opportunità del Pnrr. Per non parlare dell’offerta di manodopera qualificata: 1,4 milioni di posti di lavoro che non sono coperti per mancanza di profili all’altezza.
Bassa natalità e fuga di cervelli
Negli anni Cinquanta metà della popolazione era sotto i 30 anni, oggi è solo un terzo. Se ne vanno all’estero più laureati di quanti ne arrivano. L’incentivo più forte a emigrare è per le donne. Meno immigrati vuole dire meno crescita e, in prospettiva, meno posti di lavoro, molti dei quali gli italiani peraltro non vogliono fare. Con tasso di natalità così basso saremo sempre di meno e sempre meno prosperi. Secondo Alessandro Rosina, scivoleremo al nono posto tra le economie mondiali nel 2030, al sedicesimo nel 2050 e al venticinquesimo nel 2100. Un declino inevitabile? No, Svezia e Germania che hanno accresciuto il tasso di natalità con una diversa politica dell’immigrazione, terranno le posizioni.
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