Il nodo delle nomine: Descalzi regista ispira la premier, i fedelissimi per energia e difesa

ILARIO LOMBARDO

ROMA. Per dire del caos: poco prima della mezzanotte l’incertezza è tale che due fonti diverse davano due nomi diversi per la stessa poltrona di amministratore delegato di Enel. Una, Stefano Donnarumma, come da volontà di Giorgia Meloni. L’altra, Flavio Cattaneo, pluri-sponsorizzato, sostenuto dalla Lega, ma mai digerito fino in fondo dalla premier.

Le trattative sprofondano nella notte, ma se va come da ultimo foglietto fatto filtrare da Palazzo Chigi, ha prevalso una visione precisa, condivisa da Meloni e dall’ad di Eni Claudio Descalzi, che punta a dare un’assicurazione geopolitica all’Italia, legando con il fil di ferro della politica industriale l’energia, Eni, e la difesa, Leonardo. In tempi di guerra, le grandi aziende di Stato hanno un valore strategico ancora più alto, sono la piattaforma fondamentale per custodire l’interesse nazionale di fronte ai venti freddi di un nuovo scontro globale. L’impoverimento improvviso di gas russo, dopo l’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin, e la riformulazione dei principi di deterrenza, che ha accompagnato la fornitura di armi dell’Occidente a Kiev, ha reso necessario blindare i settori dell’energia e della sicurezza, militare e civile. Così ci spiegano da Palazzo Chigi il pensiero di Giorgia Meloni, dopo la ormai quasi certa conferma degli amministratori delegati delle cinque big partecipate. Che poi è il pensiero di chi ha sussurrato all’orecchio della presidente del Consiglio sin dal giorno in cui ha ricevuto la campanella dalle mani di Mario Draghi. Descalzi è il vero regista di queste nomine di Stato. Della prima linea dei manager scelti, imposti o confermati.

La cronaca delle ore finali della serata di trattative spiega bene i complicati rapporti tra gli alleati di centrodestra. Intorno alle 20 viene annunciata informalmente una nota per le 23. Alle 22 il comunicato è sospeso. La scusa ufficiale è il viaggio di Giancarlo Giorgetti verso Washington. Il ministro dell’Economia è in volo e si vuole attenderlo, perché è lui a dover firmare le liste. In realtà ci sono nodi ancora non sciolti. Sulle presidenze, sulle compensazioni da offrire a leghisti e berlusconiani. E per capire il senso più politico dello schema di collocazioni voluto da Meloni bisogna tornare sempre allo stesso nome, quello che ha fatto ballare la coalizione di governo per settimane. Da lì si capisce tutto il resto. «Roberto Cingolani ci serve a Leonardo». E su questa posizione Meloni è rimasta fino a ieri sera, nonostante le minacce di sabotaggio di Lega e Forza Italia. È una manovra a due, eseguita con la partecipazione di Descalzi, che con l’ex ministro della Transizione ecologica del governo Draghi ha saldato un’alleanza cruciale. Cingolani è l’uomo che dovrebbe traghettare verso l’ignoto mare della cybersecurity i business di Leonardo, con un occhio alla guerra ibrida di Putin, agli eserciti di hacker che dall’Oriente più prossimo a quello più estremo potrebbero lanciare attacchi alle reti che trasportano elettricità e gas. Per questo Meloni ha sempre interpretato come un pacchetto unico la scelta di tutti gli amministratori delegati: Descalzi, Cingolani, ma anche i manager delle altre due grandi società che si occupano di energia e reti, Stefano Donnarumma, osteggiatissimo dai leghisti ma che la leader di FdI ha chiesto di far traslocare da Terna a Enel, e Giuseppina Di Foggia, unica donna Ceo come la presidente del Consiglio aveva promesso lo scorso 8 marzo.

Questi i punti fermi di Meloni, attorno ai quali ha aperto un tavolo con i recalcitranti alleati e compagni di partito. Tra tanti no, qualche sì, qualche ripensamento, la premier ha condotto una trattativa in un clima levantino. Con furbizie e attese. Al suo fianco, sempre Giovambattista Fazzolari. Negoziatore di fiducia, come lo sono Andrea Paganella per Matteo Salvini e Gianni Letta per Antonio Tajani in rappresentanza di Silvio Berlusconi. Ieri erano tutti presenti, all’ultimo decisivo confronto. Teso, dicono. Con momenti anche di imbarazzo, come quando è stato fatto presente che non sarebbe stato carino nei confronti di Berlusconi, mentre è in terapia intensiva, deluderlo sull’unico nome che aveva sponsorizzato tramite Letta: Paolo Scaroni. Meloni ha fatto di tutto per evitare di averlo alla presidenza dell’Enel, come chiesto, controproponendo prima Terna e poi – senza troppa convinzione – Poste. Alla fine, pare, abbia ceduto proprio per rispetto al momento non facile di Berlusconi.

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