Meloni, fase due: controllo totale per la rincorsa alle Europee 2024
Nell’intricato gioco di poteri politici, la gestione del Pnrr è stata e continua ad essere il punto di frizione più alto del sistema. La storia comincia con Giuseppe Conte, il premier (al suo secondo mandato, quello con il Pd) che ha negoziato con l’Europa la quota italiana dell’aiuto europeo, 209 miliardi. Il suo successo come negoziatore si inchioda molto presto proprio sulla sua proposta di struttura di gestione. Bocciata in Eu (ma senza giudizi ufficiali) in quanto «accentrata nelle mani di Palazzo Chigi», e addirittura «struttura parallela», secondo la valutazione data allora dall’Osservatorio CPI (conti pubblici italiani) del 17 febbraio 2021, che scrive: «La proposta circolata in Italia a dicembre, ovvero una struttura “pesante” non solo di coordinamento, ma anche di gestione, parallela e in parte sostitutiva dei Ministeri, appare eccezionale rispetto a quella degli altri paesi».
La crisi porta in campo Mario Draghi che affrontò il problema addirittura nel suo discorso al Parlamento, appena nominato Premier: la governance del PNRR, disse, sarà «incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore». In altre parole, Draghi riporta il Pnrr al Ministero dell’Economia che diventa capofila nella gestione del Piano, e interlocutore diretto, insieme al Premier, della commissione Ue.
Si tratta, come si vede, di Potere, con la maiuscola. È ovvio che chi gestisce tanto denaro può diventare il dominus di una nazione.
Il governo Meloni ha così fatto oscillare il pendolo indietro – riportando il Potere a Chigi, ancora una volta. Cambia intanto il nome, da cabina di regia diventa “Struttura di missione”, guidata come autorità politica da Raffaele Fitto cui rispondono 84 persone: 1 coordinatore, 4 dirigenti di area e il resto tecnici ed esperti. La struttura avrà poteri operativi, ma anche politici. Da qui passeranno infatti le trattative con la Commissione europea e qui si metteranno a confronto gli obiettivi concordati a Bruxelles con i risultati raggiunti. Il Mef opererà con un Ispettorato generale, che si occuperà sempre di monitoraggio e rendicontazione, ma dovrà rispondere a Fitto e dovrà raccordarsi con la Struttura di missione di Palazzo Chigi.
La responsabilità politica finale sarà nelle mani del presidente del Consiglio, cui saranno segnalati i ritardi e le difficoltà del processo di costruzione dei progetti. Insomma, se quella di Conte appariva come un eccesso di cumulo di poteri, Meloni fa addirittura meglio. Va aggiunto al quadro che la creazione di questa struttura dà il via a una ulteriore mandata di nomine. Molto importanti. Staranno zitti gli alleati della coalizione?
Terza tappa. È il ritorno del Governo all’agone sociale del premier. Parliamo qui dello scontro con i sindacati che ha accompagnato il primo maggio, e che Ezio Mauro, su la Repubblica, definisce come “La battaglia per l’egemonia sociale”. «Giorgia Meloni – scrive Mauro – con la convocazione del Consiglio dei Ministri, tenta di demitizzare la Festa dei lavoratori, desacralizzandola, e contrapponendo al sindacato che manifesta il governo che lavora», facendo intravvedere la prossima scelta del premier, «dopo la battaglia per l’egemonia culturale, creando un pensiero di destra, la sfida finale ai sindacati per l’egemonia sociale, e la conquista del mondo del lavoro». È vietato? Si chiedono a destra. Non è vietato nulla in politica. Ma non è neanche vietato indicare l’evoluzione di un governo. E in questo caso, quel che è più rilevante, del premier.
Giorgia Meloni, leader di grandi capacità politica, sa molto bene dalla sua esperienza, che alla fine quello che consolida un governo, sono i numeri. E per una destra “sociale” come quella che lei rappresenta, sfidare i sindacati non è impossibile. Le misure economiche che ha varato, nel Cdm del Primo Maggio, sono meno strabilianti di quel che lei dica, nel taglio del cuneo fiscale; e tuttavia una forte deterrenza al consenso dei sindacati è nascosta nella parte della liberalizzazione dei contratti a termine, che ha una forte capacità di attrazione per le piccole imprese.
Tutto questo fino a dicembre. Ma è il tempo che serve al premier per prepararsi alla prima verifica seria del suo governo, le elezioni europee. Il volano è stato messo in moto. Manca solo – anche in questo caso – la voce degli alleati di governo.
LA STAMPA
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