Aperture e ostilità: quei giochi europei sull’Italia
Nella sfera intermedia si accavallano molti giochi, con obiettivi diversi. Ambiguità e doppi sensi sono difficili da reggere nel tempo. Prima o poi arriva sempre un redde rationem: un momento e una questione su cui è impossibile non prendere una posizione netta. Ciò vale per i leader europeisti ma anche per il governo italiano. Fino a quando sarà possibile barcamenarsi fra due forni: quello sovranista per quanto riguarda la visione, quello europeista quando si tratta invece di votare su questioni cruciali? È chiaro, ad esempio, che non si può criticare l’invadenza di «Mordor»-Bruxelles e al tempo stesso chiedere più debito comune.
È probabile che la resa dei conti arrivi con le prossime elezioni europee, che si terranno nella tarda primavera 2024. Dopo il voto potrebbero crearsi le condizioni per la formazione di una maggioranza inedita nel Parlamento europeo, composta dai Popolari e dai Conservatori e Riformisti europei, il gruppo oggi presieduto proprio da Giorgia Meloni. Questo scenario potrebbe essere il risultato dell’erosione dell’attuale maggioranza (socialisti e popolari) oppure di un esplicito accordo pre-elettorale fra popolari, conservatori e forse liberali. La scelta non dipende solo dal gruppo presieduto da Meloni, ci sono divisioni anche all’interno dei popolari e dei liberali. Molto dipenderà anche dalla capacità dei socialisti e democratici di risalire la china, elaborando una visione progressista dell’Europa, unitaria e convincente.
Dal punto di vista sistemico, per l’Unione europea nel suo complesso e per l’Italia in particolare lo scenario più temibile sarebbe quello di un nuovo cordone sanitario contro la destra, non limitato a quella di Le Pen ma allargato anche ai conservatori e riformisti. Per questo il governo Meloni dovrà alla fine scegliere (semplificando) non solo fra Macron e Le Pen-Zemmour, ma anche fra il tandem Parigi-Berlino e quello Budapest-Varsavia.
CORRIERE.IT
Pages: 1 2