Il (solito) grande scontro per il piccolo schermo
Naturalmente questo avviene in modi più sottili e raffinati di quanto la politica sia in grado di prevedere e programmare. Il messaggio culturale di Fazio è decisamente più sofisticato di quello della parte politica cui si ispira. E non sono affatto sicuro che oggi la destra, se anche riuscisse a occupare tutta la Rai, disporrebbe delle professionalità in grado di invertire il messaggio televisivo «egemonico» che essa rimprovera alla sinistra. Per fare una nuova «narrazione» ci vogliono dei narratori, dice con una punta di scetticismo Marcello Veneziani, uno dei più brillanti, ma forse per questo anche più isolati, intellettuali della destra nostrana.
La televisione è stata poi in Italia, dopo il lungo processo di consociazione che portò la Dc ad accettare una seconda rete per i socialisti e una terza rete per il Pci, il cuneo del nuovo bipolarismo nato nel 1994. Perché colui che lo rese possibile, unificando la destra, era proprio un tycoon televisivo, un imprenditore che aggirando le regole del monopolio pubblico era riuscito a farne nascere uno privato. Berlusconi trasformò in politica la sua televisione creando — lui sì davvero — una nuova narrazione, un nuovo senso comune, introducendo un edonismo individualista mutuato dalla cultura popolare americana che non è mai più stato abbandonato dagli italiani. Contarono più «Drive in» o il «Maurizio Costanzo show» nel cambiare lo stile di vita nazionale di mille dibattiti politici.
Perché la tv sia così importante per la politica italiana è dunque chiaro, a ben vedere, ed è stato peraltro già ampiamente spiegato da chi ha studiato lo «specifico televisivo». Quello che forse ci dovrebbe invece stupire è perché mai, dopo trent’anni di bipolarismo, la lotta politica in Italia sia ancora ferma lì, fondata sul sospetto reciproco e sulla mutua negazione della legittimità altrui. Perché se i partiti, per fame di potere o sete di vendetta, hanno così bisogno di spadroneggiare in un’industria culturale che ha incarnato l’unità nazionale, vuol dire che vogliono usarla per cambiare i connotati della Repubblica.
È per questo che il caso Fazio è stato una replica quasi perfetta della polemica sul 25 Aprile. La politica italiana — è triste dirlo, ma è così — non condivide come comuni i fondamenti della storia nazionale. Nonostante che a ogni giro di giostra chi vince le elezioni ripeta promesse di rispetto reciproco e di buone intenzioni, al momento decisivo ognuno pensa solo al bottino di guerra. Senza capire che così mina le basi del suo stesso successo, costruendo le ragioni per la rivincita altrui.
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