I negazionisti dell’apocalisse che si lavano la coscienza
Nel Belpaese delle 500 alluvioni negli ultimi dodici anni e dei 150 allagamenti nel solo 2022, del 94 per cento dei comuni a rischio frane e inondazioni e dei 2 metri quadrati di suolo consumati al secondo negli ultimi dieci anni, dei ventimila fiumi tombati e con il 70 per cento della popolazione totale esposto al rischio idrogeologico, non c’è destra e sinistra che tenga. Anche se noi ci crediamo assolti, siamo tutti ugualmente coinvolti. Alcune regioni lo sono più di altre. Tra queste, certo, l’Emilia Romagna, terza in Italia per consumo di suolo, ma dopo Lombardia e Veneto, e comunque soggetta al pericolo di inondazioni insieme a Liguria, Toscana, Marche Abruzzo, Molise e Calabria. La “geografia politica” dell’incuria e del dissesto non conosce distinzioni. Ovunque non abbiamo fatto quel che serve a mettere in sicurezza il territorio. Ovunque non abbiamo fatto ricorso a quelle che Chicco Testa definisce opere di ingegneria idraulica “di antica sapienza”: invasi di stoccaggio delle acque, riserve e dighe per i periodi di siccità, rinforzo degli argini dei fiumi e ripulitura degli alvei, “casse di espansione” per far defluire le piene. Ovunque non abbiamo investito abbastanza, abbiamo speso male o non abbiamo speso affatto i fondi necessari: dal Belice nel ’68 ad oggi abbiamo bruciato 140 miliardi, per ritrovarci sempre travolti e forse anche puniti dalla Natura.
E qui c’è la seconda cosa che disgusta, dentro questa catastrofe infinita. Gli stessi Grandi Inquisitori che accusano i partiti nemici sono anche i Profeti del negazionismo climatico. Sono i sedicenti “foglianti” che sbeffeggiano Greta e i suoi “gretini” e canzonano i movimenti verdi di ogni latitudine, all’insegna del più becero mantra anti-scientifico: se piove, piove, è così da millenni, sarà sempre così, il mondo gira e il pianeta sa come auto-regolarsi. Sono i “liberal-sviluppisti de noantri”, che credono solo alla crescita a ogni costo e alla mano invisibile del mercato, ridacchiano del global warming e degli accordi di Parigi, e dunque rifiutano sdegnati qualunque vincolo o paletto, dall’impegno a ridurre di un grado e mezzo la crescita delle emissioni di Co2 entro il 2050 al divieto di produrre auto a benzina e diesel dal 2030. Un assurdo cortocircuito logico e politico. Se pensate davvero che il climate change sia un’invenzione di un manipolo di giovani sciroccati e imbrattatori di monumenti, come crede l’ineffabile presidente del Senato, che continua a regalarci perle di saggezza. Se siete convinti che quello che è successo in Emilia Romagna sia solo un “evento naturale”, e non il frutto delle violenze che l’homo economicus infligge alla sua Terra. Se siete persuasi che il “dio Sviluppo” sia la missione strutturale e irrinunciabile di qualunque economia moderna, e tutto il resto sia vacua sovrastruttura sentimentale e adolescenziale. Se questo è davvero il vostro Credo, che bisogno avete di fare i pubblici ministeri contro gli amministratori locali? Perché criticate una regione che, per pregare quello stesso vostro dio, ha edificato e cementificato come se non ci fosse un domani? E con che faccia ora, dopo quello che è successo, ve la prendete con il “partito degli ambientalisti del no” ? Come se fossero stati gli “estremisti-ecologisti” ad aver bloccato le poche iniziative serie di cui c’era bisogno in questi anni. Ad aver sbaraccato “Italia Sicura”, una delle poche cose buone lasciate in dote dal governo Renzi, che aveva in carico 30 miliardi di investimenti in dieci anni. Ad aver stanziato solo 7 miliardi per la difesa del suolo negli ultimi tre anni. Ad aver iscritto nel Pnrr solo 3 miliardi per il risanamento ambientale e ad averne programmati finora meno della metà.
Lo sappiamo bene: per scongiurare l’autodistruzione non bastiamo noi italiani, che produciamo solo l’1 per cento delle emissioni totali. E nemmeno noi europei, che ne sforniamo appena l’8 per cento. Senza il sacrificio congiunto di Asia, Africa e America Latina – che pure è difficile da chiedere a popoli che hanno appena iniziato ad affrancarsi dalla povertà assoluta – non si salva nessuno. Ma intanto proviamo a fare almeno la nostra parte. A fissare le nostre priorità. Ha ragione il “ministro competente”, Nello Musumeci: siamo arrivati fin qui perché le promesse sulla ricostruzione producono consenso, mentre le misure di prevenzione sono impopolari. Ma dovrebbe guardarsi allo specchio, e rivolgere a se stesso e ai suoi partiti il predicozzo: come fanno da sempre i “santi della libertà” berlusconiana e i cultori dei condoni edilizi, anche lui da governatore della Sicilia nel 2021 ha manipolato una legge regionale per estendere le sanatorie a tutte le “opere realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta”. Mai come sul clima e sull’ambiente, non ci sono santi ma solo peccatori.
Per questo ha ancora più ragione Romano Prodi, che sul nostro giornale invita tutti a “non lavarsi le coscienze”. Ci ricorda che “sono franate colline dove l’uomo a monte aveva operato oltremisura”, e allo stesso modo “sono scese a valle altre colline a monte delle quali vi era un bosco robusto e incontaminato”. Ci spiega che tutta la Pianura Padana è “un continuo urbano”, con “case fabbriche e strade che rendono sempre più difficile la difesa del territorio”. Ci suggerisce di non andare a caccia di “un solo colpevole”, ma di affrontare il problema con mille misure diverse, “che partono dalla politica nazionale fino alle azioni minute da compiere a livello locale”. Eccola, l’ultima e l’unica preghiera laica che ci sentiamo di rivolgere ai Fratelli e alle Sorelle d’Italia, di fronte alle vittime dell’apocalisse romagnola. Non limitatevi a lavarvi la coscienza. Se ancora ve n’è rimasta una.
LA STAMPA
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