Autobiografia di una nazione
Per quasi trent’anni Forza Italia ha avuto solo la sua faccia, accompagnata in traluce dal ghigno urticante di Dell’Utri e dal sorriso emolliente di Gianni Letta. Lui ha creato e distrutto candidature parlamentari e carriere ministeriali, tra igieniste dentali alla Minetti e opinionisti devoti alla Ferrara. Lui ha intronato finti delfini e infiocinato poveri tonni, da Alfano a Toti, da Formigoni a Bertolaso. E per quasi trent’anni la destra italiana ha conosciuto solo la sua volontà di potenza. Lui ha scelto e sfasciato alleati, da Fini a Casini, da Follini a Salvini. Lui ha legittimato il leghismo secessionista e sdoganato il post-fascismo governista. Lui ha voluto svolte e contro-svolte, inventando Case delle Libertà e predellini di piazza. Lui, da Via del Plebiscito, ha accarezzato e sfiorato il vero plebiscito, dissipandolo poi negli anni tra malgoverno e condanne penali, “cene eleganti” e Bunga Bunga, compleanni a Casoria e nipoti di Mubarak, vulcani a Villa Certosa e dacie sul Mar Nero. E ancora lui, Caimano ormai in cattività, ha dato l’ultimo colpo di coda alle elezioni del 25 settembre, garantendo a Forza Italia un insperato 8 per cento da portare in dote alla trionfante Giorgia Meloni.
Il secondo lascito è il populismo. Tra le macerie di Tangentopoli, tra le rovine del consociativismo della Prima Repubblica, Berlusconi ha completato l’opera, a modo suo. Ha fatto politica in nome dell’anti-politica. La falsa mistica dell’Uomo Nuovo ha fatto piazza pulita della Vecchia Nomenklatura (pur essendone emanazione diretta). E ha fatto breccia nel cuore della gente stanca dei sepolcri imbiancati e corrotti. Forte del suo carisma e delle sue televisioni, Silvio ha parlato direttamente al popolo, e ha tratto la sua piena legittimazione attraverso l’investitura popolare, riscossa a colpi di promesse mirabolanti («un milione di posti di lavoro» «meno tasse per tutti»). È questo, il bagno di folla, il voto di massa per lui, il suo nome sulla scheda, il lavacro che mondava i reati e i peccati. È in nome di questa consacrazione dal basso che poteva dire alle toghe rosse «voi siete il cancro dell’Italia, le vostre sentenze non contano niente perché il popolo è con me». Il populismo berlusconiano è stato un modello planetario. Ha generato figli e figliastri, in Italia e fuori. Da Trump a Grillo: in qualche modo, è tutta farina del suo sacco.
Il terzo lascito, in questo caso positivo, è il bipolarismo. La contrapposizione tra gli schieramenti, la radicalizzazione tra i due poli: anche questo ha avuto origine da lui e con lui. “Noi” e “loro”, i “santi della libertà” contro i “nostalgici dello stalinismo”. Nel modo più ideologico, spesso corrivo e bugiardo, il Cavaliere Nero ha evocato il Nemico Rosso, e il Paese è tornato alla lotta – spesso nel fango, purtroppo – tra la Destra e la Sinistra. Con buona pace per i centri e i centrini, risucchiati e polverizzati dentro la contesa bipolare che tutto divide ma tutto semplifica. Qualcuno sostiene che il vero male del Paese sia stato l’Anti-berlusconismo. Non lo credo. Al di là degli opposti estremismi, non so cosa sarebbe successo se le istituzioni, supportate dai media e da un bel pezzo di società civile, non avessero retto alle spallate del Cav. Non so dove saremmo arrivati, se nel 2005 gli italiani non avessero bocciato al referendum la sua riforma costituzionale, che impastava pieni-poteri al presidente del Consiglio e ultra-poteri alle regioni.
In ogni caso, con un vissuto politico del genere, l’Uomo di Arcore non poteva avere niente da lasciare a nessuno. Apres moi le deluge è il principio eroico che per lui vale più che per tanti potenti nutriti solo dal proprio Ego ipertrofico (e proprio «Egoarca», infatti, lo ribattezzò a suo tempo Franco Cordero). Per quanto bravi, solerti o servili siano stati congiunti, collaboratori e cortigiani, gli è sempre mancato quel benedetto quid. Con tutto il rispetto, la figlia Marina e la fida Fascina gestiscono una transizione apparente, che non porta a nessuna rifondazione, a nessuna rinascita, a nessun nuovo inizio. Certo, ci sono aziende da preservare, un discreto gruzzolo di consensi da gestire, una buona manciata di scranni parlamentari da spartire. Ma al dunque dice bene Pierferdinando Casini, che da astuto democristiano per quelle forche caudine ci è passato ed è sopravvissuto: la vera e unica erede di Berlusconi si chiama Meloni.
La destra italiana, la destra “reale”, se l’è presa lei. È la Sorella d’Italia che sta svuotando Forza Italia. Anche perché, con l’addio al Cavaliere, tramonta una volta per tutte anche il miraggio della grande “Rivoluzione Liberale”. In nome di questa promessa ha vinto nel ’94, rivinto nel 2001 e stravinto nel 2008. E mai promessa politica fu più tradita con pensieri, parole, opere e omissioni. Nel Ventennio del “berlusconismo da combattimento”, non un solo atto di governo è stato ispirato da quell’ideale, che per altro in Italia non ha mai trovato né demiurghi né adepti. È il colossale equivoco intorno al Cavaliere di questi ultimi anni: nel suo autunno da Patriarca, è apparso a tratti così grave e compunto da sembrare Churchill o De Gaulle. Ma solo perché al suo fianco c’erano la Giorgia mujer y madre di Vox e il Matteo ebbro e furioso del Papeete. Silvio non è mai stato “un autentico liberale”, semmai un convinto libertino. E non è mai stato nemmeno “un vero moderato”, ammesso che questa sia davvero una categoria politica. Tanto è vero che dalla diaspora forzista già in corso difficilmente nascerà un Grande Centro. Con buona pace di Calenda e di Renzi, il Royal Baby che nonostante il patto del Nazareno ha fallito l’Opa sul partito-azienda del suo generoso mentore.
Berlusconi è stato tutto e il contrario di tutto. Presidente Imprenditore e Presidente Operaio, élite e anti-establishment, gas russo e editto bulgaro, premierato forte e devolution, Pratica di Mare e Onna. Un impasto di scintillante modernità e di irridente opportunismo. Un irresistibile e incorreggibile Arcitaliano, col sole in tasca e il coltello tra i denti. Così ha conquistato milioni di italiani, rispecchiandone le virtù (poche) e i vizi (tanti). Per questo Forza Italia è stato davvero l’unico “partito della Nazione” della Seconda Repubblica. Per questo finiscono insieme, ora che il vecchio Caimano ha smesso di combattere. E per questo, proprio come il fascismo al tempo di Piero Gobetti, anche il Berlusconismo è stato davvero un’altra “autobiografia della Nazione”.
LA STAMPA
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