Berlusconi, l’uomo che voleva piacere a tutti: un Casanova della politica e della tv”

CONCITA DE GREGORIO

Silvio Berlusconi era un uomo simpaticissimo, infantile e molto generoso. Raccontava barzellette desolanti, sconcertanti, imbarazzanti, ma lo faceva con tanto audace sorgivo entusiasmo che non riuscivi mai a dirgli guarda che non si può, come ti viene in mente. Finivi sempre per sorridere alla sua incomprensibile ingenuità, che poi era soprattutto voglia di piacere al prossimo. Berlusconi voleva piacere a tutti. Se non si capisce questo, se non lo si è visto coi propri occhi una e mille volte non si può poi parlare del lestofante che certamente è anche stato, tecnicamente criminale in quanto condannato per crimini, quei crimini che un popolo intero è continuamente tentato di commettere: non pagare le tasse, frodare il fisco, corrompere e comprare col denaro quel che non si può comprare ma succede, invece, comprare persone soprattutto se hai i soldi per farlo, fare affari con il malaffare se questo è il dazio per procedere nella propria marcia, trattare e non opporsi alle mafie di ogni genere e specie, opporsi è fastidioso a volte come sappiamo mortale, conviene chiedere quant’è, piuttosto: quanto costa. Voleva piacere a tutti, scusate se indugio ma sono convinta sia la chiave, è stato un grande Casanova della politica e della tv, del calcio e degli affari.

Aveva orrore del degrado fisico, pensava che avere i capelli fosse un fatto di “rispetto per il prossimo”, che farsi un lifting fosse una questione di decenza come saper usare le posate a tavola, non emettere flatulenze in pubblico e portare una giacca consona all’occasione: buona educazione. Veniva da una famiglia semplice e non agiata, padre impiegato di banca madre casalinga, il padre con qualche inventiva anche irregolare forse – dicono le cronache – lui certamente assai di più. Era un ragazzino molto intelligente, vendeva i compiti in classe, era intonato, cantava nelle navi da crociera. Aveva numeri, li ha messi a frutto: ha cominciato da un’agenzia pubblicitaria, che la pubblicità è l’anima del commercio, no? Ha fatto di un’agenzia pubblicitaria la leva per il governo del Paese. Ha cambiato il Paese per sempre, da una piccola concessionaria. Con ogni mezzo, certamente. Lecito e illecito ma senza mai restarci sotto: provateci voi. Era generoso, di una generosità cinica ma istintiva, a volte commovente. Sono stata direttrice dell’Unità negli anni del suo strapotere. L’apoteosi e l’inizio del declino, il Bunga Bunga e il resto. Ho pubblicato per prima le foto di Topolanek a villa Certosa, del cantore Apicella sull’aereo di Stato: titolo “È qui la festa?”. Non c’è stato giorno in cui non abbia, non abbiamo dato l’assillo sulle feste eleganti, sulla minore età eventuale delle ospiti, sulle buste alle olgettine e le nipoti di Mubarak. Quando poi anni dopo i nuovi editori del giornale a lui nemico, rottamatori del vecchio Partito Democratico e nuove speranze della sinistra, speranze purtroppo e prevedibilmente disilluse, hanno fatto in modo di lasciare i debiti arcaici e strutturali dell’azienda ai semplici dipendenti dell’epoca lui ha telefonato, un giorno, per dire: sono dei miserabili. Lei è una professionista, ha carattere e talento, non lo merita. Fossi stato io l’editore avrei saldato, posso fare qualcosa? Niente, grazie. Si figuri, non c’è di che. Nessuno fra i suoi consanguinei e i suoi famigliari ha mai avuto quel garbo, quel passo e quel fiuto imprenditoriale e animale, posso garantire. Nessuno di chi gli è stato intorno, fossero familiari o beneficiari/e, ha mai avuto la prodezza di dire a un politico di sinistra in carica, eletto sindaco: lei è molto bravo, ha anche un bell’aspetto, ha il talento di chi vince, vuol mica venire con me? Poi molti gli hanno detto di no, che Berlusconi era il male assoluto, ma tanti gli hanno detto di sì, invece.

Quindi, riassumendo. Ripartiamo da quando Giorgio Gaber diceva: non temo Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me. È stato un tipo umano che riassumeva un popolo e ne era campione. L’arci-italiano. Chiunque avrebbe voluto essere il tizio che partiva dal niente e dominava la scena: chiunque ha pensato se lo fa lui si può fare. Ma no, invece. Perché devi essere Logan Roy, il protagonista di Succession, il Murdoch del tuo tempo e del tuo posto. Devi avere i numeri, il pelo sullo stomaco e la maschera, l’intuito e la sveltezza. Pazienza per quelli attorno a te. Consanguinei e famigliari, vassalli e valvassori. Devi essere l’eroe di una serie tv buona per molte stagioni, e difatti. Negli anni Novanta, ha cominciato. Aveva 58 anni, mica pochi, quando è “sceso in politica”. Perché scendere gli conveniva, certamente. Proteggeva le sue aziende e la sua persona. Ma come andò, ricordiamo. Andò così. Aveva generato un impero anche grazie ai buoni uffici del Partito socialista, di Bettino Craxi. Fu fatta una legge, la legge Mammì, ad aziendam più che ad personam: la prima di una lunga serie. Poté competere con il servizio pubblico, il monopolio. Ebbe le concessioni. Cambiò il costume. L’immaginario. Drive In, le vallette. Le donne nude e la vita a premi, la Rai si adeguò. È stato l’inizio di una stagione nuova, in cui piacere al pubblico dunque esser popolari era sinonimo di successo. Ci si poteva candidare, ad essere pop, e vincere. Si vinse. Si usarono tutti i mezzi. Si fecero affari con chi non si doveva, si fu spregiudicati. Qualcuno fra i pregiudicati si prestò. Non fu abbastanza, l’evidenza dell’illecito. La marcia trionfale proseguì. La sinistra provò ad opporsi. Fu rilevante avere un siffatto avversario, fu per molti profittevole: politici, giornali. Non sufficiente, tuttavia. Qualcuno vinse, talvolta, Prodi per esempio, qualcuno in definitiva perse: nessuno fu in grado di generare un’idea di mondo altrettanto potente. Gli epigoni, alla fine, hanno fatto il loro privato interesse ma non quello di tutti. Renzi, per esempio, che Berlusconi in qualche momento ha rispettato ma infine espulso, come possibile antagonista o erede.

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