Non arrivano i nostri
Il terremoto non si placa, la neve non si ferma. Nel primo caso c’è poco da fare, evento imprevedibile e quando arriva arriva con la sua forza distruttrice.
Ma la neve no, quella siamo in grado di sapere con largo anticipo e sufficiente precisione dove, quando e quanta ne cadrà. E allora non è possibile farsi prendere così alla sprovvista com’è accaduto e sta accadendo in queste ore nel già martoriato Centro Italia. Altro che il «non vi lasceremo soli», ripetuto a oltranza da politici e istituzioni. Le immagini e i racconti che arrivano da quelle zone fanno paura e ci umiliano. Paesi isolati, allevatori abbandonati, migliaia e migliaia di abitazioni senza corrente elettrica, comunicazioni in tilt.
D’accordo, ne è caduta tanta di neve. Ma i «nostri» non arrivano in soccorso, non in misura sufficiente. I ragazzi della protezione civile e dell’esercito si fanno in quattro ma evidentemente non sono sufficienti: mancano i mezzi adeguati, non si può nel 2017 riaprire strade e liberare persone intrappolate con il badile. Un’emergenza straordinaria va affrontata con mezzi straordinari, la buona volontà, da sola, non basta.
Ieri ho sentito sindaci e amministratori chiedere aiuto alle televisioni che li avevano raggiunti con i loro inviati o via telefono: «Qui non si vede e non si sente nessuno, vi prego fate qualche cosa voi», implorava uno di questi, non sapendo più a che santo votarsi, rivolto alla conduttrice di Sky, Paola Saluzzi.
Se invece che allo Stato ci si appella ai giornalisti è la fine. È la prova che servono meno «vertici» e più fatti, che qualcuno non ha fatto ciò che andava fatto per tempo. L’impressione è che i soccorsi navighino a vista, con qualche eroismo ma molto, troppo ritardo. La passerella rassicurante in tv di ministri e capi soccorso stride con la cronaca e i tardivi rinforzi di uomini e mezzi faticano ora a farsi largo, a raggiungere i punti più critici.
Passerà, come tutto. Ma in quanto a priorità nella destinazione di risorse, energie, in quanto ad agenda politica, questa brutta storia ci porta a parafrasare e fare nostro lo slogan elettorale di Trump: «Prima l’Italia». Poi, se avanzassero tempo ed euro, pensiamo pure all’Europa e ai mali del mondo. Altrimenti non potremmo più dirci uno Stato.
IL GIORNALE